Gli addetti ai lavori hanno spesso spiegato, almeno formalmente, che quegli onerosi avventi potevano avere solo effetti positivi sullo sviluppo del calcio in Cina, grazie al bagaglio di esperienza che quelle stelle sarebbero state in grado di trasferire negli ambienti in cui si accasavano, anche se in molti casi si trattava di carriere al tramonto. Una migrazione sostenuta o, perlomeno, finora non contrastata dal governo centrale, onnipresente nella vita economica del Paese, che da qualche tempo spinge l'acceleratore anche in materia di calcio, propugnando politiche di sviluppo che dovrebbero portare entro un certo numero di anni al pieno inserimento della Cina fra le nazioni protagoniste a livello internazionale.
Obiettivi più o meno dichiarati sono l'organizzazione di un Mondiale (si punterebbe all'edizione 2030) e poi, magari, anche essere in grado di vincerne uno (in questo caso intorno al 2050).
Obiettivi che, però, sono più difficili da raggiungere in assenza di una base solida e radicata, di vivai e scuole calcio dove i giovani possano farsi le ossa. Un'inflazione di grandi nomi dall'estero, insomma, non solo può non bastare, ma può anche risultare controproducente proprio perché - come accade ovunque, Italia compresa - riduce lo spazio per le nuove leve. Ecco, allora, il giro di vite con cui dovranno ora vedersela i vari club della locale Super League come il Guangzhou Evergrande, l'Hebei o lo Jiangsu, quest'ultimo di proprietà di quella Suning che ha appena messo le mani sull'Inter. Già, perché la stangata arriva proprio mentre le casse vuote di tanti club dello stesso Occidente hanno già accolto o attendono bisognose l'afflusso di capitali del Dragone.
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