Lazio, Alvaro Gonzalez: «Il 26 maggio è storia. Non chiusi bene, ma ormai sono un tifoso. La squadra di Sarri è da scudetto»

Il centrocampista uruguaiano racconta il suo 26 maggio 2013

Lazio, Alvaro Gonzalez: «Il 26 maggio è storia. Non chiusi bene, ma ormai sono un tifoso. La squadra di Sarri è da scudetto»
di Valerio Marcangeli
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Domenica 28 Maggio 2023, 11:12 - Ultimo aggiornamento: 29 Maggio, 08:57

È tutto pronto per celebrare il decennale del 26 maggio. La festa inizierà dalle 17 all’Olimpico con quasi tutti i giocatori della Lazio presenti dieci anni fa. Tra i pochi assenti ci sarà Alvaro Gonzalez, ma non per colpa sua: «Sarei venuto volentieri a festeggiare quella fantastica Coppa Italia – ci rivela il "Tata" – e c’era anche la possibilità perché questa settimana non dovevo giocare. La società mi ha pure contattato però purtroppo non mi ha più fatto sapere nulla». L’uruguaiano, attualmente centrocampista del La Luz, è stato tra i protagonisti della cavalcata del 2013, mettendo la propria firma in semifinale e dopo 146 partite e 7 gol si sente laziale in tutto e per tutto.

Se lei non sblocca il risultato con la Juventus…

«Quello è stato il gol più importante della mia carriera. Non succede sempre di segnare contro la Juve in semifinale. Noi credevamo di poter arrivare fino in fondo e io, non so perché, ma mi sentivo di far gol. Proprio per questo avevo fatto preparare la maglia di Scaloni in panchina al magazziniere».

Come mai quell’esultanza?

«Perché Leo era appena andato all’Atalanta ed era molto dispiaciuto perché era un altro col cuore laziale dopo tanti anni lì, e aveva anche giocato qualche partita di quella coppa. Io ci sono rimasto male quando se ne è andato perché eravamo molto legati quindi mi ero ripromesso di dedicargli un gol se lo avessi fatto».

In un modo anche insolito per lei…

«Mi sono inserito in area. Nonostante già ci fossero Klose e Mauri, ancora non mi spiego perché Ledesma ha cercato me (ride, ndr). Il suo cross è stato perfetto, io mi sono inserito dietro ai due difensori e ho incrociato di testa. Poi il gol di Floccari ci ha permesso di giocare la partita più importante del mio periodo lì».

Da sudamericano, cosa significa giocare il derby di Roma?

«I derby sono tutti belli. Io ho avuto la fortuna di giocarne tanti e di molto sentiti, come Nacional-Penarol in Uruguay, ma anche Boca-River in Argentina. Ma pure nella Capitale è sentito tantissimo. Appena arrivi i tifosi ti dicono subito: “Vinciamo il derby, poi il resto si vede”. È una cosa pazzesca. Perciò figuriamoci quella finale del 26 maggio che avrebbe assicurato una coppa. Sapevamo che sarebbe stata una gara storica e infatti oggi sembra che il tempo non sia passato per quanta gioia mi evoca».

Cos’ha funzionato nell’avvicinamento a quella partita?

«Il ritiro, senza dubbio. Abbiamo parlato tanto e io l’ho usato per riprendermi al meglio da una fascite plantare che mi stava tormentando. Quell’anno penso che dopo Ledesma avevo giocato più di tutti, perciò volevo essere convocato a tutti i costi. Alla fine ho anche giocato uno spezzone.

Sapevamo che una palla poteva cambiare la storia e per fortuna quella è arrivata tra i piedi di Lulic nell’indimenticabile minuto 71».

Giusto, Lulic: si aspettava una chiusura del genere della sua esperienza alla Lazio?

«Non è mai semplice chiudere bene con la Lazio. È successo anche a me e lo avevo visto pure prima, appena arrivato, con altri giocatori tipo Zarate. Non voglio creare polemica. Nel 2014-15 semplicemente volevo andare via perché Pioli non mi faceva giocare, era anche arrivato Milinkovic. Così ho chiesto la cessione, sono riuscito ad andare in prestito al Torino, ma quando sono tornato non mi lasciavano andare via facendomi allenare con la Primavera. Chiedevano troppi soldi per un calciatore avanti con l’età, ma è stato solo un momento negativo in sette anni bellissimi».

Ci sarà anche la festa per Radu, lo ha sentito?

«Certo, grande Stefan. Gli ho mandato un forte abbraccio, abbiamo difeso la Lazio insieme tanti anni e sarà bello vederlo al centro dei festeggiamenti. Lui sente tanto la maglia e spero che la partita andrà per il meglio proprio per questo».

Anche Tare potrebbe salutare: che rapporto avete avuto?

«Abbiamo avuto qualche problema, ma quello che conta è il sentimento per i colori che resta, non i rapporti che magari non hanno funzionato del tutto. Io ormai mi sento laziale. Detto ciò, sicuramente Tare ha fatto tante cose positive in questi anni. Il club è stato molto competitivo qualificandosi sempre in Europa».

Ora c’è Vecino a rappresentare l’Uruguay al posto suo: vi siete sentiti?

«Certo. Io e lui abbiamo giocato tanto insieme in Nazionale. Lui conosceva Roma visto che comunque giocava già in Italia, ma mi aveva chiesto qualche informazione sulla città e sulla tifoseria prima di firmare. Ci siamo sentiti anche qualche giorno fa sperando di vederci allo stadio, ma come detto purtroppo non ci sarò. Gli ho comunque fatto i complimenti per la stagione nella speranza di terminare al secondo posto. L’ho sentito molto felice comunque. Chissà, magari poi ci vedremo lì…».

Che ne pensa della stagione della Lazio condita dal ritorno in Champions?

«In campionato la squadra ha avuto un rendimento molto regolare. Sarri ha trovato quello che voleva e l’importante è che ci sia la sensazione di avere di fronte una squadra vera. È stata molto solida e secondo me se il Napoli non fosse stato perfetto si sarebbe giocata lo scudetto».

Visto che ancora gioca nel suo Paese, vuole consigliare un talento alla Lazio?

«Ci sono sempre giocatori interessanti che vengono fuori dal Sud America e tanti stanno giocando nel Mondiale under 20 in Argentina. Se proprio devo fare un nome allora dico Matias Abaldo del Defensor Sporting. È un esterno, classe 2004, e mi sento che presto arriverà in Europa».
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