E’ nato nel 2001, che per la tifoseria della Roma è l’anno del Signore, ovvero quello del terzo scudetto giallorosso. Ebrima Darboe è baciato da una magia, il vento lo ha portato a Roma, dopo un lungo viaggio: zaino in spalle e mille pensieri in testa. Uno in particolare, giocare a calcio per poi mantenere la famiglia. In Gambia non era possibile e da lì è scappato. Il duro e infinito viaggio, l’esordio, prima in campionato, poi in Europa League, è terminato con le lacrime davanti alle telecamere. «Giocare contro lo United è indescrivibile, non so come spiegarmi, sono emozionato». Ma Ebrima si spiega bene, in perfetto italiano. L’emozione si traduce in un pianto sincero. Ripensando alla sua storia, alla casa famiglia e a Bruno Conti che gli ha aperto le porte della Roma di Alberto De Rossi. Darboe guardava e sognava i campioni e l’altra sera se li è trovati davanti e al fianco.
VIAGGIO
«In Africa è difficile giocare a grandi livelli senza un aiuto. Sono fuggito con due amici, un viaggio duro e avventuroso. Dopo un anno ho conosciuto Miriam Berruti, una talent scout che mi ha cambiato la vita: ero troppo piccolo, ne avevo bisogno. Vorrei ringraziare tutta la sua famiglia, so che mi stanno guardando», le sue parole. Gambia, tappa in Libia per poi raggiungere l’Europa e infine, l’Italia, il traguardo. Ebrima arriva in Sicilia poi si sistema in una casa famiglia (incluso nel progetto Sprar, sistema di protezione per richiedenti asilo) a Rieti, lì gli si spalanca davanti il mondo del calcio: l’ingaggio dallo Young Rieti e l’occasione di fare un provino (superandolo) con la Roma. Gli anni nella Primavera giallorossa, il primo contratto («la realizzazione di un sogno), tutto in un attimo, un viaggio nel viaggio. Prossimo step? Stregare Mourinho, che ha bisogno di un calciatore come lui in mezzo al campo.