Parco della Musica, il nuovo ad Daniele Pitteri: «Ora l’Auditorium deve trovare un’altra identità»

Parco della Musica, il nuovo ad Daniele Pitteri: «Ora l’Auditorium deve trovare un’altra identità»
di Simona Antonucci
6 Minuti di Lettura
Sabato 31 Ottobre 2020, 12:56 - Ultimo aggiornamento: 15:48

«Il 6 marzo è finito un mondo. Ma ce n’è uno nuovo. Dove le sale saranno piene a metà o trasferite sul digitale. Non basta gestire l’emergenza, dobbiamo ripensare programmi e modalità di condivisione della cultura». Daniele Pitteri, nuovo amministratore delegato della Fondazione Musica per Roma, napoletano, 60 anni, manager culturale, prende in mano il futuro dell’Auditorium, in piena pandemia.

La sua nomina risale al 24 luglio, mentre i romani reduci dal lockdown, ricominciavano a vivere “dal vivo”. Il cartellone di allora era parte dell’eredità dell’ad spagnolo José Ramon Dosal che lasciava l’Auditorium dopo 4 anni, 4 bilanci in attivo e un utile di 250 mila euro.

 

«La mia», continua il professore universitario che a maggio si è dimesso da Modena Arti Visive per trasferirsi a Roma, «non è una visione pessimista.

Ma penso che le prospettive di crescita e la creazione di un’identità vadano costruite facendo i conti con questa nuova condizione. Lamentarsi? Legittimo, considerata la crisi. Noi, con il Consiglio c’è un’ottima intesa, stiamo lavorando anche per reinventarci. E restare aperti. Sempre, inverno, estate».

Bacchetta magica? Come fa a tenere aperto l’Auditorium?

«Il festival jazz che sta partendo andrà in streaming. Abbiamo adibito alcuni spazi a teatri di posa e, con una regia seria e non una semplice registrazione, riprodurremo sul digitale gli eventi dal vivo. Così, anche per il Festival della Scienza, in cartellone il 23 novembre. Faremo tutto online, ma in diretta. I relatori verranno, se sarà possibile, e da qui si monteranno gli interventi. Il lockdown ci ha insegnato quanto sia forte l’impatto del digitale. Come norma e non come esigenza nelle situazioni d’emergenza. Questo non significa che lo spettacolo dal vivo sia tramontato, ma ora bisogna fare altrimenti».

Lei dice che nulla sarà come prima: eppure a luglio lo sforzo è stato proprio quello di far tornare tutto come prima.

«Credo che quando lo spettacolo dal vivo ripartirà, molte cose saranno diverse. Quest’estate alcuni artisti hanno cancellato gli spettacoli per la limitazione di spettatori. Altri, come Silvestri o Gazzè, si sono messi in gioco. Ho la sensazione che non saranno i soli. Va rivisto un po’ tutto. Andranno organizzati due show al giorno per aumentare i posti e abbattere i costi. E sarà necessario ripensare il percorso dei tour internazionali. Inimmaginabile cambiare una città al giorno. Chi vorrà suonare starà qui il tempo necessario per quarantene e tamponi».

Intanto, il mondo dello spettacolo è in strada e protesta.

«Il settore aveva già manifestato le sue fragilità in passato e ora con la pandemia si è infranto. Ha senso ricostruire tutto su certe, traballanti, modalità?».

Lei crede che tra le priorità del Parco ci sia quella di ritrovare un’identità. Si era persa?

«Va ricostruita».

Si spieghi meglio: cambieranno le proposte al pubblico?

«Al pubblico, ora, ci si rivolge in un modo poco organizzato. Si va da Gigi D’Alessio a Nick Cave. Va tutto bene, ma le linee di proposta devono essere chiare».

Una sua proposta.

«Cominceremo un viaggio multidisciplinare nella cultura italiana dal Novecento a oggi. Dalla pittura alla musica, abbracciando le relazioni con la scienza e con l’industria. Maderna, Casella, Malipiero e l’arte. Ma anche tra l’hip hop e la street art. Quattro o cinque produzioni l’anno, non di più, ma inserite in un percorso riconoscibile».

Che cosa conserva e che cosa cestina?

«La danza contemporanea è stata trascurata. Il festival Equilibrio è stato un punto di riferimento. Va recuperato».

Il Festival è stato diretto da artisti come Larbi Cherkaoui. Lei si avvarrà di consulenti?

«Per confezionare buoni prodotti c’è bisogno di più voci».

Torniamo alle linee guida. Focus sul Novecento. Poi?

«Incentivare l’ibridazione dei linguaggi. L’Auditorium deve essere un punto di riferimento per le culture più diverse. E poi la produzione. Proporre in cartellone progetti nostri, anche piccoli, ma identitari».

Molte delle sue esperienze precedenti sono legate al mondo dell’arte. Vedremo molte mostre in via de Coubertin?

«Certo. Entro breve riapriremo lo spazio Garage che ora si chiama AuditoriumExpo. Chiuso da due o tre anni».

Queste le linee guida. Quando vedremo il suo programma?

«A fine novembre. Nel cda della settimana scorsa abbiamo individuato il percorso, all’interno del quale costruiremo il programma. Per ora abbiamo confermato i concerti di Fabrizio Bosso il 13 dicembre, Eugenio Bennato il 26, Tosca il 27, Edoardo Bennato il 30».

Capodanno con Gigi Proietti?

«No. Ci saranno più eventi in più sale. Se si potrà».

I rapporti con Santa Cecilia, Fondazione Cinema?

«Andiamo nella stessa direzione. Far sì che il Parco torni a essere un posto dove trascorrere giornate piacevoli. Per la musica classica, jazz, pop, film, ma anche per una sosta in libreria, in giardino, nei negozi, alle mostre e, un mio pallino, per mangiare bene».

Siamo nel libro dei sogni?

«Sì. Ma siamo tutti d’accordo. La nostra fondazione si chiama Musica per Roma. E quella preposizione vuol dire tanto».

Vi espanderete?

«Parte della programmazione verrà pensata per altri luoghi della città. Collaborando con realtà già esistenti nei quartieri meno centrali. Ensemble giovanili, cori».

Voi avete già diverse orchestre. Che ne sarà?

«La formazione di musica contemporanea sarà fondamentale per il progetto sul Novecento. Poi l’orchestra di musica popolare di Sparagna. Quella jazz da recuperare. Ma vorrei fondare una band giovanile. Con musicisti che ruotano di anno in anno».

Settanta dipendenti sono pochi o tanti per realizzare tutto questo?

«L’organico è leggermente sottodimensionato».

I soci fondatori sono il Comune che versa 7 milioni e 600 mila euro, la Regione un milione e la Camera di Commercio 500 mila. Anni fa si parlò dell’ipotesi dell’ingresso in consiglio del Ministero dei Beni Culturali. Poi, più nulla. Le piacerebbe rispolverare l’argomento?

«Non credo se ne sia più parlato. E comunque noi siamo una Fondazione di partecipazione. L’ingresso di un nuovo socio è previsto e auspicabile. L’importante è condividere il progetto». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA