Rieti, la tradizione reatina della pizza di Pasqua della signora Oliva: «A 83 anni continuo a farla in casa e proseguirò sempre»

La signora Oliva De Marco
di Sabrina Vecchi
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Sabato 30 Marzo 2024, 00:10

RIETI - «Sei stanco? Manco avessi fatto le pizze di Pasqua!» Questo antico modo di dire spiega bene quanto tempo ed impegno richiede la preparazione dei tipici dolci pasquali del nostro territorio. Che si chiamano in gergo popolare " pizze", ma sono soffici ed altissime, con una preparazione che tra impasto, lievitazione e cottura arriva fino ai due giorni di “lavori in corso”. Una pazienza di cui sa qualcosa la signora Oliva De Marco, 83 anni, che le " pizze di Pasqua" le fa da sola da almeno vent’anni, e prima ancora insieme alla mamma e alla zia, sempre nel quartiere reatino di Quattro Strade. «È una tradizione di famiglia, fin da piccola ricordo grandi manovre in cucina, ad ogni Pasqua. Zia Leontina ci lasciò la sua ricetta scritta, ed è quella che uso ancora, non ho mai cambiato nulla». Uova, lievito, zucchero, rosolio e aromi di agrumi rigorosamente caserecci, più qualche ingrediente segreto che la signora Oliva fa solo intuire. Di sicuro ce ne sono tanti che non si comprano, come cura, fede e dedizione. E tanto amore: «Se non le faccio, mi sembra quasi di fare un torto a qualcuno, che la festa sia meno festa. Ho quattro nipoti che le aspettano, le mangiano a tutte le ore, non solo a merenda e colazione», dice Oliva. Un dolce donato anche alle persone più strette: «Quest’anno ne ho fatte dodici. Le regalo alle amiche e le confeziono semplici, senza neppure il fiocco, si deve vedere che vengono da casa. Mi dicono che negli anni hanno sempre lo stesso sapore, mi fa piacere». Quel sapore che sa tanto di atmosfera pasquale è frutto di una preparazione meticolosa: «Prima preparo tutti gli ingredienti, di sera le impasto e le metto a lievitare in un recipiente molto grande, perché si gonfiano molto. Devono restare sempre al caldo altrimenti la pasta si indurisce, io copro tutto con una tovaglia e sopra ancora una coperta». L’indomani, ci si sveglia presto: «Impasto di nuovo tutto, peso e metto nelle apposite forme per una seconda lievitazione». Prima di infornare, quando le pizze sono pronte nelle teglie, la signora Oliva non dimentica mai di farsi il segno della croce: «Lo faceva mamma, lo faccio anch’io: è un segno di fede per Pasqua, di protezione per la famiglia. Le guardo, sto un attimo in meditazione e penso che adesso tocca a loro». Per la cottura, occhio alle tempistiche e ai dettagli: «I tempi sono importantissimi - spiega Oliva - io le cuocio per un’ora ma sto bene attenta a non aprire mai il forno almeno per la prima mezz’ora, rischierebbero di riabbassarsi e non verrebbero lisce e tutte uguali, sono delicatissime». Oggi, a portare avanti la tradizione ci sta pensando anche la nipote Giulia, che negli anni sta imparando. «Mi fa piacere, certe cose si fanno soprattutto per la famiglia. Quando lo avevo ancora accanto, le facevo con mio marito Antonio: era una tradizione a cui teneva tantissimo e - cosa rara per un uomo dei suoi tempi - partecipava attivamente alla preparazione, pesava tutti gli ingredienti, impastava». Il tono di voce cambia un po’: «In fondo, le faccio anche in suo onore, è come averlo ancora accanto. E finché avrò le forze, le farò sempre».

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