«Crediamo o no alla rigenerazione di questa terra, simbolo di un Parse che va in frantumi?», incalza il vescovo citando il disastro di Genova, i morti del Pollino. «Il mondo è fragile e l’uomo ancora di più. Ci resta lo spirito, e ci resta Dio che riconcilia spirito e materia. Allora vale la pena di restare o di tornare, se ritroviamo lo spirito di queste terre, che è quello di tanti piccoli borghi dell’Appennino abbandonati per ragioni sociali ed economiche. Vale la pena affrontare la ricostruzione se la burocrazia non paralizza la buona volontà dei singoli e delle istituzioni. Vale la pena ricostruire se si rompe l’isolamento di queste terre. Allora sì, lo sguardo si potrà allargare, e vedere non più macerie ma gru».
L’omelia si chiude con la citazione della pagina di diario di una giovanissima, restituita dalle macerie. Aspetta il giorno dopo per rivedere un ragazzo: «Domani ad Amatrice sarà una grande giornata, ci saranno tutti e lo rivedrò. Chissà se gli piacerò ancora». «Ecco - dice Pompili - quell’attesa è vera anche per noi. Perché domani, non oggi sapremo se al netto delle cose fatte e delle tante che restano da fare avremo conservato lo spirito e potremo dire sì, ne é valsa la pena». E l’assemblea si scioglie in un applauso.
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