RIETI - Al “Bar Francescano” di Poggio Bustone si ascolta la “Canzone del Sole”. E si canta, ancora, come il tempo non fosse mai passato, nell’atmosfera che è propria del paese reatino, aperta, accogliente e quantomai genuina. Il titolare Elio Santori parla di Lucio Battisti come fosse uno di famiglia: «Lo è. Papà e il padre erano coetanei, noi abitavamo di fronte a loro, abbiamo giocato insieme. Musone? Ma quando mai! Era allegro, scherzoso, uno di noi». Sono stati in molti a commuoversi ieri pomeriggio, all’apertura del piccolo museo dedicato al musicista, un primo - importantissimo, visti pregressi e vicissitudini sul lascito della figura di Lucio - passo verso la divulgazione della sua figura.
L'intuizione. L’idea nasce da Pino Bonomo e Andrea Barbacane, figlio della sorella del cantautore, e da un prezioso baule dei ricordi lasciato a casa dei suoi genitori Alfiero e Dea.
Tanti i fans. Folta la cittadinanza ad ascoltare il saluto del sindaco Rovero Mostarda, poi i relatori che ricordano la figura di Lucio Battisti nella storia della musica italiana, e fa strano venire a conoscenza che si sta parlando proprio nelle stanze vissute da Lucio bambino, che nei locali dove ora c’è il palazzo comunale, un tempo frequentò la scuola elementare. E poi c’è padre Ezio che tira fuori il certificato di battesimo custodito negli archivi parrocchiali e datato 9 marzo 1943, la signora che ha ritrovato un libro «che Lucio prestò a mamma, erano compagni di classe». Perché tutto, qui, parla ancora di lui. «Veniva sempre - dice il titolare del bar - l’ultima volta lo vidi a metà degli anni Ottanta, si mise qui di fuori a parlare con papà, poi andò nella trattoria vicina. Ricordarono gli aneddoti d’infanzia, le storie del paese. Veniva spesso e non solo per aggiustare la casa ma anche per starci». Tra le cose rimaste alla famiglia d’origine di Lucio, anche alcuni quadri dipinti da lui, come raffigurazione visionaria della sue canzoni: «I brani li immaginava così - dice il nipote - la canzone la vedeva prima disegnata. Dipingeva di getto quello che la canzone avrebbe rappresentato». Da quei quadri nascono oggi litografie autenticate con perizia calligrafica, che verranno messe in vendita per un progetto solidale.
La solidarietà. «Abbiamo pensato di comprare una motomedica che possa raggiungere anche i sentieri più impervi, per soccorrere i pellegrini oppure assistere i tanti appassionati di parapendio che si lanciano dal Monte Rosato, di modo che quanto lasciato da Lucio faccia anche del bene», dice Bonomo. Tra le foto esposte, quelle di Lucio studente nel laboratorio dell’istituto tecnico industriale di Rieti, con l’amatissima mamma o mentre imbraccia l’organetto, strumento caratteristico delle zone reatine. Tra le lettere spedite a casa mentre era fuori per lavoro, quella che dice «mi sono messo come nome d’arte Lucio Poiano, cioè di Poggio Bustone». A conclusione di un pomeriggio a dir poco unico per il paese, il giornalista Ivan Cardia di Rai Radio 1 imbraccia con timore reverenziale la chitarra verde di Lucio, arrivata direttamente dal museo, e si canta insieme “Il mio canto libero”. Libero e liberatorio.