RIETI - Non ci fu responsabilità dell’uomo, né condotte omissive, azioni negligenti, né imperizia a causare il crollo della vela campanaria della chiesa Santi Pietro e Lorenzo di Accumoli che, con il sisma del 24 agosto del 2016, venne giù causando la morte della famiglia Tuccio. L’assoluzione dei sette imputati (due «perché il fatto non costituisce reato», per gli altri cinque con la formula «perché il fatto non sussiste») è un dispositivo che come ogni sentenza – condanna o assoluzione che sia – divide, allontana o avvicina.
In campo consulenti tecnici di parte di enorme professionalità e spessore in una battaglia processuale che si è intersecata su piani prospettici spesso antitetici, tra elaborati e voluminose perizie, culminando con il superconfronto in aula con tutti i consulenti tecnici “gomito a gomito”: gli ingegneri Adriano De Sortis, Antonello Salvatori, Giuseppe Guida, Claudio Moroni, Franco Braga, Gabriella Mulas, Gianmarco De Felice, Paolo Grazioso, Manfredi Tomassetti, Bruno Mancini e Simone Simonetti.
La spiegazione del crollo da parte del consulente. «Io e il collega Grazioso abbiamo dimostrato in maniera inequivocabile – ha commento l’ingegnere civile specializzato in ingegneria forense, Giuseppe Guida – come l’ipotesi accusatoria fosse del tutto destituita di ogni fondamento. Intanto, il campanile non aveva subìto danni per effetto del sisma del 2009 visto che era stato ampiamente consolidato nel 1982. Abbiamo poi dimostrato con modelli numerici – aggiunge Guida, consigliere direttivo dell’Associazione italiana ingegneria forense – come l’indice di adeguatezza fosse tranquillizzante e tipico di costruzioni risalenti agli inizi del ‘900. In effetti, il crollo del 2016 si verificò per uno scuotimento sismico localmente eccezionale che superava tutte le previsioni normative e rispetto alle quali il campanile poteva opporre solo le sue doti originarie. Tutto ciò – chiude – è stato dimostrato durante il dibattimento con lunghe e complesse audizioni, nonché a conclusione delle quattro giornate di confronto tra consulenti a volte anche aspro ma che ha permesso al giudice di comprendere la verità».
La figura inattaccabile del giudice. E’ toccata invece al giudice monocratico Riccardo Giovanni Porro “l’ardua” sentenza di un processo molto seguìto e discusso, tutto sviluppato su piani tecnici di altissima specialità, spaziando dalla sismologia all’ingegneria civile ed edile fino alla geologia e alla scienza delle costruzioni e dei materiali. Con un unico obiettivo: l’onere della prova. Un procedimento anche di forte impatto emotivo che deve aver tolto il sonno al giudice del tribunale di Rieti e sul quale ha torreggiato super partes la figura di un magistrato galantuomo, capace di condurre e amministrare con equilibrio e opportuni contrappesi un’istruttoria dibattimentale estremamente complessa autodeterminandosi a non restare soltanto un nome in calce alla sentenza.