«Ero ossessionato dal gioco, spendevo anche quello che serviva per i miei figli. Ecco come ne sono uscito»

Il percorso allo sportello Caritas di Formia di Franco: "Diciotto mesi di lavoro, non mi hanno mai lasciato solo e mi sono liberato da quella schiavitù"

«Ero ossessionato dal gioco, spendevo anche quello che serviva per i miei figli. Ecco come ne sono uscito»
di Sandro Gionti
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Venerdì 12 Gennaio 2024, 11:49

Una morsa, che ti attanaglia e ti stringe, dalla quale non riesci ad uscire, soprattutto non da solo. E' stato questo il gioco d'azzardo per Franco, un nome di fantasia, la sua dipendenza patologica è durata di versi anni. Franco è una delle tante persone che si è rivolta allo sportello Caritas aperto dal 2015 dall'Arcidiocesi di Gaeta nel quartiere formiano di Castellone. Lui ha una quarantina d'anni e vive a Formia con moglie e figli. E' appena uscito dal tunnel del gioco e accetta di parlarne, conservando però l'anonimato.

Come hai iniziato a giocare? «La prima volta inizi per curiosità, per provare, poi non so perché ma il gioco è stregato: le prime volte che si gioca si vince. Poi o ti fermi subito o entri in un vortice dal quale è difficile uscire. Magari inizia a giocare perché pensi che le macchinette, il gioco online, ti possono portare un guadagno facile, ma non è così. Penso anche che c'è chi inizia per combattere la noia, nel senso che in momenti della giornata in cui ci si trova senza far nulla la mente ti porta a giocare».
Come sei riuscito a uscire dalla dipendenza? «Uscirne non è semplice, e sicuramente non lo si può fare da soli, ci vuole sempre l'aiuto di qualcuno. Ma bisogna soprattutto essere forti mentalmente perché le tentazioni, specie all'inizio, sono forti. Quando ho deciso di affrontare il problema la prima cosa che ho fatto, ho deciso di non entrare più nei locali, in bar o tabaccherie che avevano le macchinette. Uscivo da casa senza soldi così non potevo fare nulla, ma soprattutto ho riempito le mie giornate con la mia famiglia, tenendomi sempre occupato, facendo sempre qualcosa».
Quali sono stati i problemi familiari che le ha causato giocare? «Possono essere tanti, non li hai fino a quando riesci a nascondere la cosa, ma quando vengono a mancare i soldi dentro casa per i bisogni della famiglia, dei tuoi figli, la persona che hai accanto incomincia a farsi delle domande, e poi arrivi ad un punto in cui devi dire la verità. In questi casi molte volte chi ha il vizio di giocare viene abbandonato, io sono stato molto fortunato, perché ho una persona al mio fianco che mi ha supportato tantissimo. Un'altra sfida, forse la più difficile da affrontare, è quella di riconquistare la fiducia delle persone che hai accanto e che non ti hanno abbandonato». Fondamentale per Franco, il nome è di fantasia, è stato il supporto dello sportello Caritas della Diocesi di Gaeta. «Un percorso - racconta - che mi ha aiutato tanto, fatto con persone competenti, che non sono lì per giudicarti, ma solo per aiutarti. Per me è stata una liberazione, li ringrazierò per tutta la vita, perché mi hanno dato una grande mano, sono stati sempre al mio fianco, mi hanno aiutato a ritrovare la libertà. Perché il gioco è una schiavitù».
Un anno è mezzo per tornare libero, lo racconta così Franco: «Sì, un percorso di 18 mesi, mi hanno fatto dei test, per mia fortuna non ero in condizioni così disperate, potevo farcela in un tempo accettabile. Per un periodo andavo agli incontri una volta a settimana, poi con il passare del tempo prolungavamo la distanza tra una seduta e l'altra, fino ad arrivare al giorno in cui puoi ritornare alla vita normale». Quale messaggio ti senti di far arrivare a chi si trova in questa situazione di enorme difficoltà? «Sono troppe le persone che giocano e il problema è che non tutti hanno il coraggio di ammettere di avere questa malattia. Io la forza per uscire da questo tunnel l'ho presa guardando mia moglie e i miei figli, perché se continuavo in quella strada non solo sarei andato io nel baratro ma avrei trascinato anche loro con me. A coloro che hanno questo problema dico: ne potete uscire solo se vi fate aiutare, e non vergognatevi, la vita è troppo bella e importante per buttarla via così».
 

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