Rosi dopo la vittoria all'Efa: «Ora un film fuori dall’Italia»

Rosi dopo la vittoria all'Efa: «Ora un film fuori dall’Italia»
di Gloria Satta
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Lunedì 12 Dicembre 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 14 Dicembre, 09:07
La prima telefonata, nel cuore della notte, è per Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa protagonista di Fuocoammare: «Pietrino, ti sveglio? Volevo dirti che è andata bene, abbiamo vinto», esclama Gianfranco Rosi al cellulare accarezzando la statuetta dell’Efa, l’Oscar europeo, appena conquistato a Breslavia (Polonia) per il suo documentario coprodotto da RaiCinema e dedicato alla tragedia di migranti.

«Grande opera d’arte italiana, racconta dei motivi per cui l’Italia ha e avrà un ruolo centrale per una Europa dei diritti sempre più unita», commenta il dg Rai Antonio Campo Dell’Orto. «Il suo sguardo sulla realtà è una ricchezza per il cinema e per tutta la comunità degli uomini», aggiunge Paolo Del Brocco, ad di RaiCinema. Il 52enne Rosi, già Orso d’oro a Berlino e candidato italiano agli Academy Awards sia nella categoria dei documentari (è entrato intanto nella short list) sia tra i film stranieri, oggi torna negli Usa per continuare la campagna pro-Oscar. «È un viaggio lungo e difficile», spiega il regista, l’immancabile sciarpa di seta, braccialetto con simboli pacifisti ed emozione tangibile. 

Cosa l’ha colpita di più negli Stati Uniti, dove Fuocoammare è stato accolto benissimo? 
«Gli americani cominciano a capire che il problema dei migranti non riguarda solo l’Italia o l’Europa ma tutti, a cominciare da loro. Il film è una metafora della loro situazione proprio nel momento in cui si pensa di costruire nuovi muri tra Messico e Usa». 

In America ha colto preoccupazione per i propositi anti-immigrati di Trump?
«Sì, la sua elezione è stata uno choc per molti proprio dopo le parole di Obama che aveva definito le barriere ”una prigione per se stessi”. Ma sono i muri l’unica risposta dell’Europa alla tragedia epocale dei migranti». 

Meryl Streep continua ad appoggiare la sua corsa verso l’Oscar?
«Certo. Ha organizzato con grande generosità una proiezione a New York, è stato emozionante. Anche in quell’occasione, come mi succede ormai da mesi, alla fine la gente mi ha mi ha chiesto: cosa può fare ognuno di noi per i migranti?».

Si sente un po’ travolto dai premi? 
«I riconoscimenti sono meravigliosi ma vanno trasformati in qualcosa d’altro. Io ho già un nuovo progetto. Dico solo che, dopo Sacro Gra e Fuocoammare, non sarà ambientato in Italia».

Proprio “Sacro Gra”, Leone d’oro a Venezia 2013, ha contribuito a rilanciare il documentario. Perché questo genere oggi ha tanto successo?
«Perché ha cambiato il linguaggio del cinema, rubandogli le tecniche di narrazione. La gente ormai si affeziona ai protagonisti della realtà come fossero eroi di fiction».

Continua ad avere contatti con i personaggi dei suoi documentari?
«Con alcuni sono più frequenti ma me li porto tutti dentro: penso sempre ai protagonisti di Boatman, Below Sea Level, El Sicario, alle persone che abitano intorno al Raccordo Anulare, ovviamente alla gente di Lampedusa».

Cosa risponde a Paolo Sorrentino, che ha criticato la scelta di Fuocoammare come candidato italiano all’Oscar? 
«Ora è impossibile rispondere, vediamo come va a finire, magari ha ragione...credo comunque che le sue parole non avessero un intento polemico nei miei confronti».

È contento, Rosi?
«Certo, Fuocoammare è stato venduto in 64 Paesi e il 13 gennaio uscirà in Giappone, dove Sacro Gra è ancora nelle sale. Il cinema non cambia il mondo, ma spero che il mio film contribuisca ad aumentare la consapevolezza di un dramma che il mondo intero sta vivendo». 
 
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