Orson Welles contro tutti: il genio e la malinconia di un regista prodigio

Orson Welles contro tutti: il genio e la malinconia di un regista prodigio
di Fabio Ferzetti
3 Minuti di Lettura
Domenica 12 Aprile 2015, 23:14 - Ultimo aggiornamento: 16 Aprile, 14:01
Ci sono personaggi che non possono fare una cosa alla volta. E libri che non sono un solo libro, ma cinque o dieci libri insieme. Orson Welles era uno di questi personaggi, più vasti di ogni definizione. Dunque una raccolta di conversazioni con Welles, registrate nei suoi ultimi anni, non è solo un fantastico repertorio di giudizi fulminanti, aneddoti incredibili, momenti rivelatori, invettive acide quanto motivate ("A pranzo con Orson - Conversazioni tra Henry Jaglom e Orson Welles", a cura di Peter Biskind, traduzione di M. G. Gini, Adelphi, 340 pagine, dal 23 in libreria).



È anche un autoritratto involontario nato al ristorante, chiacchierando con un registratore sotto il tavolo, perché Welles voleva dimenticare di essere registrato; una controstoria di Hollywood che ridistribuisce pesi e valori con argomentazioni tendenziose e inoppugnabili; un dizionario selvaggio ma puntualissimo del cinema come arte e industria (scrittura, fotografia, montaggio, produzione, perfino critica: c’è tutto); una dichiarazione di poetica che getta una luce struggente e definitiva sui suoi film e la sua accidentata carriera; un catalogo infinito di illazioni, rivelazioni, retroscena, pernacchie, che non risparmia nessuno, da Josef Von Sternberg a Humphrey Bogart, da John Huston a Katharine Hepburn, da Roman Polanski a Jean-Paul Sartre (ma Welles è feroce anche con se stesso naturalmente).



VERITÀ E LEGGENDE

Gli esempi sono infiniti e spesso esilaranti, considerandoli per ciò che sono: iperboli, e talvolta verità sepolte da spessi strati di leggenda. Chaplin? Un autodidatta vanesio che usa di nascosto sei autori per le sue gag, molto inferiore a Buster Keaton (perfino "Tempi moderni" è pessimo per Welles), nonché un taccagno senza pari (ovvio: gli pagò 1.500 dollari la sceneggiatura di "Monsieur Verdoux" e tagliò scene fondamentali). Non va meglio a Woody Allen e Bob Fosse («non mi piace quel tipo di cinema terapeutico»), mentre Louis B. Mayer (della Metro Goldwyn Mayer) era un capomafia che faceva picchiare la gente, Coppola ha «inventato il gangster di classe» («Il Padrino è l’esaltazione di una banda di straccioni mai esistita»), Jean Renoir «quando non è al suo meglio sembra un dilettante» (ma "La grande illusione" lo commuove alle lacrime). Mentre il povero Richard Burton, che osa avvicinarsi al tavolo di Welles e Jaglom, viene liquidato perché ha buttato il suo talento ed è ormai «una barzelletta, l’appendice di una moglie diva».



ABBANDONATO

Ma sono solo battute, pettegolezzi colti. Mentre l’essenziale resta la lunga, muta, straziante richiesta d’aiuto rivolta da uno dei talenti più giganteschi che il cinema ricordi a un giovane regista che tra il 1983 e il 1985 si prese cura di quel gigante stanco, venerato ma di fatto abbandonato da tutti. Facendogli, scrive Biskind, da «confessore, produttore, agente e fan numero uno». Senza riuscire a chiudere nessuno dei suoi mille progetti, anche perché alla soglia dei 70 anni e di chissà quanti chili l’ex enfant prodige che a 22 anni si era visto bloccare uno spettacolo dall’Fbi, a 23 era in copertina su Time e a 24 entrava nella storia con "Quarto potere", non era un soggetto facile. Poco importa ormai. A colpire oggi è l’impeto enciclopedico e disperato con cui Welles ripercorre tutta una vita restando sempre due spanne sopra al resto del mondo (senza spocchia, anzi con candore). Mentre si chiede perché, tra tanti mediocri e opportunisti, lui non riesca a girare uno straccio di pubblicità per sbarcare il lunario.

Non doveva essere facile progettare un ultimo grande film sulla politica, "The Big Brass Ring" e incassare uno dopo l’altro i no di Clint Eastwood, Robert Redford, Burt Reynolds, perfino dell’amico Jack Nicholson. Ma Welles resta generoso fino alla fine, vittima consapevole della sua stessa leggenda. «Ho raccontato tante storie solo per cavarmi d’impiccio, per noia, per fare spettacolo! Non dirgli la verità su di me, Henry. Non la vogliono sapere. Lasciagli le loro fantasie».

© RIPRODUZIONE RISERVATA