Cervellati torna a Latina: «Non cerco vendette, voglio capire»

Cervellati torna a Latina: «Non cerco vendette, voglio capire»
di Andrea Apruzzese
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Giovedì 7 Giugno 2018, 10:51 - Ultimo aggiornamento: 10:52
Si tiene oggi pomeriggio (7 giugno) alle 17.30 a Circolo cittadino l’incontro “Latina, disordine pianificato. Riflessioni su centro storico e città contemporanea”, evento promosso dal Centro Studi Città Pontine in cui interverrà l'uurbanista bolognese Pierluigi Cervellati, autore del piano regolatore di Latina approvato nel 2001 ma mai applicato.
Lo abbiamo intervistato.

«Mi fa piacere tornare sul luogo del delitto. Ma non torno a Latina con spirito vendicativo: vengo per capire il futuro della città da un punto di vista urbanistico».
Pier Luigi Cervellati parla a lungo, con voce serena, soppesando le parole e articolando i pensieri in lunghi periodi. La mente torna a quasi venti anni fa, quando il suo Piano regolatore generale di Latina fu approvato dal Consiglio comunale in maniera trasversale, ma con partiti che si spaccarono, anche nella stessa maggioranza, e consiglieri che abbandonarono l’aula. Un documento che restò però sulla carta. «Latina è una città che ho imparato a conoscere e amare - esordisce al telefono dal suo studio bolognese - torno con piacere, vedendo che dei giovani si occupano delle sorti di questa città (il riferimento è a Matteo Coluzzi, della cui tesi di laurea è co-relatore)».
Perché ha deciso di accettare l’invito?
«Mi interessa anche da un punto di vista professionale: dibattere e cercare di capire la realtà. L’urbanistica non è un colpo di bacchetta magica, ma può aiutare a trovare delle soluzioni, anche minime, che poi germoglieranno».
Cosa conosce della situazione attuale di Latina?
«La sua evoluzione era prevedibile. Non si è voluto cogliere il piano, pensando di farne uno migliore, ma poi non se ne è mai più prodotto un altro, continuando ugualmente a costruire, nell’illusione che la crescita del cemento fosse eterna e infinita, cancellando qualsiasi principio di pianificazione e di rapporto con il suolo».
Cosa ricorda della vicenda politica sul suo piano?
«La notte in cui fu approvato, da parte della maggioranza e da parte dell’opposizione, fu il segnale che non era frutto di un solo partito o di una persona, ma di una città. Poi, è venuta meno la presenza amministrativa, e non si è voluta ascoltare la voce di un sindaco (Ajmone Finestra, ndr) che, al di là delle idee politiche, peraltro opposte alle mie, aveva il senso del territorio, dello Stato, del bene pubblico. Io considero il suolo e il paesaggio un bene di tutti, che non deve essere privatizzato. Ma i piani danno fastidio ai poteri forti».
Quali erano i punti essenziali del suo piano e quali potrebbero ancora oggi essere applicabili?
«Il principio era a favore del bene comune: il piano rimetteva in luce il disegno della bonifica con elementi funzionali nell’economia agricola, e che potevano esserlo anche in un’economia industriale, che sì, mostrava segni di debolezza, ma che poteva riprendersi con una sperimentazione anche in campo agricolo. Io oggi non posso dire cosa ancora sia valido, perché non ho una conoscenza diretta. Bisogna riprendere in mano la situazione, la volontà di pianificare, capire quali forze possono oggi contribuire a interrompere il degrado e la disgregazione in essere. Un piano ha un tempo, una durata; ha bisogno di un Ufficio di piano (l’attuale amministrazione ne sta predisponendo uno, ndr) per seguire l’evolvere della città».
Andrea Apruzzese
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