In base alle stime Svimez risultano sono circa 3 milioni di lavoratori dipendenti al di sotto dei 9 euro di retribuzione oraria in Italia. Di questi circa un milione sono nel Mezzogiorno dove la loro quota raggiunge il 25,1% degli occupati dipendenti, oltre uno su quattro. Circa 2 milioni vivono nelle regioni del Centro-Nord dove rappresentano il 15,9% degli occupati dipendenti. Anche la perdita di potere d'acquisto interessa soprattutto il Mezzogiorno in Italia così come il lavoro povero. Nel 2022 le retribuzioni lorde in termini reali sono di tre punti più basse nel Centro-Nord rispetto al 2008; nel Mezzogiorno di dodici punti.
La crescita occupazionale
Il Mezzogiorno ha fatto segnare nel periodo successivo allo shock del Covid una crescita occupazionale sostenuta, grazie alla quale è tornato su livelli di occupazione superiori a quelli osservati nel pre-pandemia, ma i posti di lavoro, rimangono ancora al di sotto di circa 300 mila unità rispetto ai livelli raggiunti nel 2008. Inoltre, secondo la Svimez, il peso della componente del lavoro a termine nel Mezzogiorno «rimane a livelli patologici, soprattutto se confrontato con il resto del Paese e le medie europee. La quota di occupati a termine sul totale dei dipendenti è pari al 22,9% al Sud contro il 14,7% del Centro-Nord. Soprattutto, nel Mezzogiorno si resta precari più a lungo: quasi un lavoratore meridionale a termine su quattro è occupato a termine da più di cinque anni, quasi il doppio rispetto al resto del Paese». Continua, intanto, la fuga di lavoratori e competenze. Tra il 2001 e il 2021 circa 460.000 laureati si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Centro-Nord, per una perdita netta di circa 300.000 laureati nell'area. Si stima che circa 130.000 erano in possesso di una laurea Stem nelle discipline della scienza, tecnologia, ingegneria e matematica. Nel solo 2021 circa 9.000 laureati che hanno lasciato il Mezzogiorno (su un totale di 27.000) possedevano competenze Stem: un terzo dell'investimento meridionale in competenze scientifiche e tecnologiche si è «disperso» a favore dei sistemi produttivi diversi da quelli insediati al Sud.
Il Pil
La Svimez stima una crescita del Pil italiano del +1,1% nel 2023, con una crescita nel Mezzogiorno (+0,9%) di soli tre decimi di punto percentuale in meno rispetto al Centro-Nord (+1,2%), nelle anticipazioni del rapporto 2023. Queste previsioni si basano sull'ipotesi di un utilizzo parziale delle risorse del Pnrr. Con la piena efficienza del piano, il Pil del Sud potrebbe far segnare già nel 2023 una crescita superiore di circa 5 decimi (fino all'1,4%) e di circa 4 decimi nel Centro-Nord. In seguito, il contributo aggiuntivo del Pnrr tenderebbe ad aumentare più al Sud, fino a chiudere il divario di crescita con il Nord nel 2025. Complessivamente, fino al 2027, l'impatto cumulato del Pnrr sul Pil italiano potrebbe raggiungere un valore pari a 5,1 punti percentuali: 8,5 al Sud e 4,1 nel Centro-Nord.