Blue Economy tra porti e rotte a corto raggio, un circuito virtuoso da 90 miliardi

Alessandro Panaro, Srm: «Blue Economy, valore e capacità di attivazione dell’economia». Pino Musolino: «Ora non si perda tempo»

Blue Economy tra porti e rotte a corto raggio, un circuito virtuoso da 90 miliardi
di Alessandra Camilletti
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Mercoledì 6 Settembre 2023, 12:02 - Ultimo aggiornamento: 11 Settembre, 17:32

La Blue economy in Italia vola oltre i 50 miliardi di euro.

Nel 2021 sono stati 52,4 con una crescita di oltre dieci miliardi in dieci anni. Più di 228mila aziende e 914mila addetti (stime Unioncamere-Tagliacarne). In un’interpretazione estensiva – che somma a movimentazione di merci, passeggeri e cantieristica anche pesca, ricerca per la tutela ambientale, servizi di alloggi e ristorazione – si arriva al 9% del Pil, con «valore e capacità di attivazione dell’economia pari a 90 miliardi di euro», sottolinea Alessandro Panaro, responsabile Area di ricerca Maritime & Energy di Srm, centro studi che fa capo a Intesa Sanpaolo.

Un altro paio di dati ancora, sul ritorno in termini economici di ogni euro investito. «Il comparto della movimentazione di merci e passeggeri ha un moltiplicatore di 2,7, la cantieristica di 2,5, sono settori ad altissimo impatto in quanto muovono una mole notevole di investimenti», spiega Panaro. Ulteriore elemento di riflessione, da non perdere di vista: «Oggi l’impatto economico di un comparto è misurato anche sulla capacità di essere sostenibile. E questo settore ha dimostrato un’eccezionale capacità di far fronte alle sfide della decarbonizzazione». Un esempio: il 47,7% di tutti gli ordini di navi (in termini di stazza GT) a luglio 2023 è relativo a navi che utilizzano combustibili alternativi, tra cui Gnl e metanolo (era il 10,7 nel 2017). «Stesso discorso vale per la digitalizzazione: si investe in navi sempre più tecnologiche, riducendo i tempi della burocrazia e quindi i costi per le imprese».

LO SCENARIO

 Hub di supporto all’internazionalizzazione, i porti, in un Paese dove circa il 40% degli scambi di import-export avviene via mare: 377 miliardi di euro a fine 2022, con un +66% nel decennio.

Importiamo in prevalenza dalla Cina, esportiamo soprattutto verso gli Stati Uniti. Lo scorso anno i porti italiani hanno movimentato oltre 490 milioni di tonnellate di merci, la crescita complessiva in un decennio è stata del 7%.

A cambiare «è stata soprattutto la composizione della tipologia di merce che viaggia via mare. E dal 2019 si assiste al sorpasso del segmento Ro-Ro sui container», rileva il Rapporto 2023 Italian Maritime Economy proprio di Srm. Un’edizione speciale che ricostruisce fatti, trend e dinamiche del settore attraverso gli ultimi dieci anni. Un ulteriore scenario: «Si stimano cinque anni per fare dell’Italia il ponte Mediterraneo del gas». Gli scali «possono diventare hub energetici per lo stoccaggio e la produzione di Gnl, biocarburanti, idrogeno». La pandemia da Covid, il conflitto in Ucraina. Fatti epocali che hanno fatto registrare fenomeni come il caro-noli ma che hanno pure contribuito a invertire alcune tendenze, incentivando i trasporti a corto raggio e rendendo il Mediterraneo (con l’Italia al centro) snodo sempre più strategico. In un circuito virtuoso.

L’esempio viene proprio dal Ro-Ro. «Il Rapporto ha messo in evidenza un dato interessante: negli ultimi dieci anni i porti sono cresciuti dell’1-2%, il Ro-Ro invece cresce di quasi il 55%, dato di grande evidenza», spiega Panaro. È la conquista di una nuova fetta di mercato, per «effetto delle rotte che si accorciano. La movimentazione dei container non diminuirà: è lo specchio dell’industria manifatturiera, degli scambi intercontinentali, ed è cresciuta in dieci anni del 15%. Il Ro-Ro risponde però alla necessità della movimentazione locale e sposta il traffico dalla strada al mare: nell’ultimo anno secondo stime si sono risparmiati in Europa 2,4 miliardi di euro, anche in termini di incidentalità. La strada dell’intermodalità strada-ferro, strada-mare, prevista anche dal Pnrr, è giusta». La sfida ora? «Per i nostri porti la sfida maggiore è completare gli investimenti del Pnrr – sottolinea Panaro –, nel realizzare le infrastrutture e nell’usare i fondi nei tre anni che ci separano dalla scadenza».

I TEMPI

«L’unico lusso che non possiamo permetterci è perdere tempo: dobbiamo concretizzare rapidamente idee e intuizioni», sottolinea Pino Musolino, presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mar Tirreno Centro-Settentrionale e dell’Associazione MedPorts, tra i relatori alla presentazione del Rapporto Srm.

«Il nostro vero petrolio è blu. La presentazione del Piano del mare da parte del ministro Musumeci e la presenza del Cipom, comitato per le politiche del mare coordinato dalla presidenza del consiglio dei ministri, dicono già quanto il tema mare sia importante per il Paese», aggiunge il presidente. La Blue Economy, sottolinea Musolino, «sta diventando tante cose e va oltre i porti: dalla ricerca non solo pubblica ma di imprese e consorzi di imprese alle praterie di posidonia sottocosta in grado di assorbire molta più CO2 di altre piante. Il mare è creazione di investimenti, di impresa e di nuovi lavori». Una riflessione: «I nostri porti possono diventare laboratori ideali, a fianco delle città, con un cambio di mentalità: da luoghi energivori a produttori di energia. Opera che il singolo Sistema portuale può fare ma non esclusivamente: serve una regia nazionale e, in alcuni casi, continentale. La sfida è coniugare tutela dell’ambiente, della salute e dei territori con sviluppo economico e investimenti». L’esempio dei porti di Roma. «Abbiamo 23 milioni di euro dal programma green ports – riepiloga Musolino – Circa 200 milioni dal Pnrr puro per interventi strutturali, di cui 80 per l’elettrificazione delle banchine. È un piano-processo, che durerà finché non si cambia il modello. Ci vorrà del tempo e per questo dobbiamo fare in fretta».

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