Lavoro, la lettera dell'Ocse: «Cambiamo le stime grazie al Messaggero»

Ángel Gurría, segretario generale dell’Ocse
di Luca Cifoni
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Sabato 8 Ottobre 2016, 00:19 - Ultimo aggiornamento: 9 Ottobre, 18:02
Poco più di un punto in meno nel 2015, quasi mezzo nel 2014. L’Ocse rivede la famigerata classifica del cuneo fiscale (il prelievo in busta paga che colpisce lavoratori e datori di lavoro) spostando un po’ più in basso l’Italia: certo, il costo del lavoro da noi resta elevato, ma ora nella graduatoria dei tartassati non siamo più al quarto ma al sesto posto. Tornando tra l’altro dietro la Francia.

LA GRADUATORIA
Le correzioni apportate in queste ore dall’organizzazione parigina al sito Taxing wages (“La tassazione degli stipendi”) e al proprio portale statistico nascono da un articolo uscito sul Messaggero il 6 giugno scorso.


L'articolo del Messaggero del 6 giugno 2016

Nel testo veniva evidenziato come alcuni errori relativi in particolare al calcolo dell’addizionale regionale del Lazio avessero “gonfiato” l’incidenza percentuale del cuneo fiscale e contributivo, arrivata nel 2015 al 49 per cento nel caso base (lavoratore medio senza carichi familiari). Questo era il numero che sintetizzava la situazione del nostro Paese, posizionandolo al quarto posto insieme all’Ungheria, subito dopo Belgio, Austria e Germania e davanti alla Francia. Quella cifra, e le altre relative alle diverse tipologie retributive e familiari, risultavano però un po’ sorprendenti anche avendo ben presente il pesante carico che grava sul lavoro in Italia, dove quasi la metà di quello che versa il datore di lavoro come retribuzione lorda comprensiva di oneri va allo Stato sotto forma di contributi e imposte, e solo il resto finisce al dipendente. Già, ma come è stato possibile che tra il 2013 e il 2015 il cuneo per il lavoratore medio sia aumentato di 1,2 punti, pur in assenza di inasprimenti fiscali ed anzi nonostante l’introduzione del famoso bonus 80 euro?


L'email che ammette le "discrepanze" e annuncia le relative correzioni

LA RETRIBUZIONE MEDIA
Il secondo dubbio si può sciogliere in modo relativamente facile osservando la retribuzione media usata dall’Ocse per la propria analisi, che non è particolarmente bassa: un importo lordo di 30.710 euro, che corrisponde ad un imponibile Irpef di 27.796. Valore un po’ al di sopra della soglia di 26 mila oltre la quale l’effetto del bonus si azzera. Quindi gli 80 euro, che come trasferimento monetario concorrono in base ai criteri Ocse ad incrementare il netto in busta paga e quindi a ridurre il costo del lavoro effettivo, non hanno effetto in questo caso ma solo in quello del lavoratore con retribuzione pari al 67 per cento della media: per il quale infatti l’incidenza del cuneo è molto più bassa ed è scesa di ben quattro punti tra il 2013 e il 2015.

Ma se questo spiega il mancato calo, resta da capire perché al contrario nella tabella originaria dell’Ocse, diffusa nell’aprile scorso con l’ultima edizione di Taxing wages, il peso di tasse e contributi continuasse a salire fino a quel rotondo 49 per cento. Non dipende dall’Irpef versata allo Stato centrale, il cui peso, in assenza di modifiche a scaglioni e aliquote, è cresciuto solo marginalmente per la progressività dell’imposta, applicata su un reddito leggermente più alto di quello di due anni prima. Il salto è invece legato alla voce imposte locali, passata in cifra assoluta sempre nel caso del lavoratore medio da 707 a 1.176 euro. Qui si pone un problema. Se è vero che le addizionali applicate da Regioni e Comuni sono cresciute negli ultimi anni, quali ha preso in considerazione l’Ocse? La risposta si trova nelle note specifiche relative all’Italia: gli economisti dell’organizzazione suppongono che il dipendente viva a Roma e quindi sia soggetto alle aliquote della Regione Lazio e della Capitale.

Il Comune a causa del fardello del debito impone ai propri cittadini un’addizionale dello 0,9 per cento, la più alta in Italia. Quanto alla Regione, dal 2015 applica una nuova “scaletta” che arriva fino ad un’aliquota massima del 3,33 per cento. Proprio questa è la misura secca del prelievo usata dall’Ocse per i propri calcoli. Erroneamente però, perché se è vero che quel 3,33 figura come aliquota legale nelle tabelle ufficiali del Lazio per la quota di reddito al di sopra dei 15 mila euro l’anno, la Regione ha anche previsto una significativa eccezione, ovvero l’applicazione di un meno esoso 1,73 per coloro che guadagnano fino a 35 mila euro; quindi anche per il famoso lavoratore medio. Il meccanismo in effetti è un po’ bizantino: l’aliquota alta è scattata per la necessità di rientrare dai disavanzi sanitari e dai debiti verso i fornitori, ma si applica solo in parte. I particolari di questo schema non proprio lineare si devono essere persi nelle comunicazioni tra ministero dell’Economia italiano e Ocse, che normalmente precedono la messa a punto di Taxing wages.

LE REVISIONI
Dopo la pubblicazione dell’articolo il Messaggero ha segnalato la discrepanza di cifre all’organizzazione parigina, che in seguito ad una serie di verifiche con lo stesso Mef ha provveduto alle correzioni, dandone poi conferma al nostro giornale: nel 2015 il tax wedge scende dal 49 al 47,9 per cento per il lavoratore senza carichi familiari, dal 39,9 al 38,8 per le famiglie e cala in proporzione per le altre tipologie retributive. Revisioni sono state fatte anche per il 2014. I nuovi valori saranno naturalmente riportati nella prossima edizione cartacea del rapporto. Resta un nodo che non è statistico ma di sostanza: come ridurre ancora e in modo ben più incisivo il cuneo nelle buste paga degli italiani.
 
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