"Quando l'arte va a ruba. Furti e saccheggi, nel mondo e nei secoli": l'ultimo libro di Fabio Isman

Fabio Isman
di Carlo Maria Ponzi
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Venerdì 4 Marzo 2022, 05:20

«Quando l’arte va a ruba. Furti e saccheggi, nel mondo e nei secoli” (Giunti Editore): è il titolo del volume di Fabio Isman – scrittore e saggista, già inviato speciale de “Il Messaggero”, nonché collaboratore delle principali testate periodiche specializzate nel settore dei beni culturali - che sarà presentato sabato 5, alle ore 17,30, al Museo della ceramica di Palazzo Brugiotti, nell’ambito della rassegna “Incontri con la storia”, organizzato dal MuVi (Musei di Viterbo). Modera Massimiliano Capo.

Con l’opera, Isman aggiunge nuove e dense pagine su un tema che lo ha impegnato negli ultimi anni e che hanno dato luogo a “L'Italia dell'arte venduta. Collezioni disperse, capolavori fuggiti” (Il Mulino) e “I predatori dell'arte perduta. Il saccheggio dell'archeologia in Italia” (Skira).

«L’arte è sempre andata a ruba – sottolinea Isman - nel senso più letterale del termine: in ogni tempo, e latitudine, qualcuno ha ben pensato di sottrarre opere d’arte al legittimo proprietario».

Lo certificano i numeri: nel nostro Paese, i furti vengono registrati quasi quotidianamente.

Per citare i dati più aggiornati, nei dodici mesi del 2019, sono stati denunciati 345 furti tra reperti archeologici, quadri, sculture, manoscritti, libri antichi, monete, icone, arredi, reliquie. Ancora: nello stesso anno, soltanto i carabinieri del comando per la tutela del patrimonio culturale hanno sequestrato quasi 46.000 reperti frutto di scavi clandestini.

«Quadri, statue e sculture, libri e intere biblioteche – rimarca Isman - codici miniati, porcellane, mobili, manufatti pregiati: l'Italia ha sempre venduto la propria arte. Perché mutano i gusti, o perché i patrimoni vanno in rovina, e a chi per secoli ha commissionato o posseduto i capolavori spesso non resta che il blasone. È una storia che vale la pena di narrare, al di là delle catastrofi causate dai conflitti, sempre irrispettosi dell'arte, o dei criminali scavi archeologici che alimentano i lucrosi mercati internazionali. Questa grande fuga ha condotto infinite opere di valore fuori dal nostro paese: a poco vale consolarsi con il tantissimo che ci è rimasto, se non si riflette sul moltissimo che è sparito».

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