Processo Londra, l'avvocato di Tirabassi contro i pm: «Non ci sono prove». Ed evoca il processo stato-mafia

Processo Londra, l'avvocato di Tirabassi contro i pm: «Non ci sono prove». Ed evoca il processo stato-mafia
di Franca Giansoldati
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Giovedì 19 Ottobre 2023, 19:08

«In questo processo a volte il pregiudizio sembra abbia prevalso. Il Promotore di giustizia sarebbe pagato per portarci delle prove, e invece non lo ha fatto». L'avvocato Cataldo Intrieri che difende l'imputato Fabrizio Tirabassi oggi in aula ha messo fortemente in dubbio le procedure d'indagine nel processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato e sulla compravendita del disgraziato Palazzo di Londra che va avanti da un anno e mezzo. Così come ha fatto emergere le irregolarità nelle perquisizioni, gli interrogatori fatti in modo improprio, esercitando «pressioni». A questo ha aggiunto anche lo strano ruolo emerso da Francesca Ciferri e dalla pr Francesca Chaouqui, quest'ultima forniva informazioni e suggerimenti a Ciferri che trasferiva a monsignor Perlasca - il responsabile dell'ufficio economico della Santa Sede - facendogli credere che era «un anziano magistrato» che lo stava aiutando. «Noi legali, ad un tratto, avevamo pensato di astenerci e lasciare il processo per rispetto dell'istituzione giudiziaria vaticana» ha affermato Intrieri.

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Per il legale, le accuse sulla presunta estorsione del broker Gianluigi Torzi (subentrato a Raffaele MIncione) per uscire definitivamente dalla proprietà dell'immobile di Sloane Avenue ricordano addirittura il processo sulla trattativa Stato-mafia: «I funzionari e consulenti vaticani vengono incaricati di riportare a casa il tesoro, lo fanno, e finiscono tutti sotto processo» ha detto Intrieri.

Un'estorsione «di cui all'epoca non si accorge nessuno», non certo l'Ufficio del promotore di giustizia, Alessandro Diddi. Servirà la denuncia «striminzita, di due pagine e pure tardiva» del direttore generale dello Ior, Gianfranco Mammì, che Intrieri ha ricordato anche per il prestito negato dallo Ior, alla Segreteria di Stato. 

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«Tutta la ricostruzione della trattativa sul Palazzo di Londra - ha lamentato il difensore di Tirabassi - è stata quella di un grande complotto in cui sono tutti concorrenti, di una colossale truffa che sfocia poi in un'estorsione. Ma si è trattato di stata una ricostruzione tardiva. All'epoca nessuno si rendeva conto di essere dentro in un grande complotto».

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Lo stesso Tirabassi, di cui il difensore ha negato il «dolo», diceva al Sostituto della Segreteria di Stato monsignor Edgar Pena Parra «di non essersi accorto» della clausola che concedeva a Torzi le mille quote golden share, le uniche con diritto di voto. E «Torzi si sente legittimato ad avere la gestione del Palazzo, come gli era stato garantito». Intrieri ha ricordato anche che quelli in ballo «erano soldi del Papa, custoditi dalla Segreteria di Stato», e «nessuno ci ha guadagnato un euro». «Un investimento sbagliato non è un illecito», ha osservato. Tra le considerazione per smontarla, quella che «su questa indagine aleggia la ragion di Stato». E che si tratta di «un'indagine distopica». 

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«Questa è l'indagine che inquadra la vicenda del Palazzo di Londra in un colossale complotto, una colossale sceneggiata, di cui Tirabassi sarebbe stato partecipe. Anzi, Tirabassi ed Enrico Crasso sarebbero stati il Gatto e la Volpe, che avrebbero consegnato monsignor Perlasca al Lucignolo Raffaele Mincione», ha affermato. Ma secondo l'avvocato Intrieri, «tutto frana al vaglio dibattimentale, e si concluderà come si deve concludere». Il legale ha anche minimizzato la questione dei soldi trovati a Tirabassi: «le monete le voleva mandare allo 'squagliò, erano buone per i collezionisti; 600 mila euro erano a casa del padre; i soldi in Svizzera, l'epitome del male, erano frutto di una cluasola nella convenzione tra la Santa Sede e una Banca Svizzera, ed erano pagati da quest'ultima». Tirabassi, già funzionario dell'Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato e, in proprio, dottore commercialista, sempre partecipe nella gestione degli investimenti, è tra i principali imputati del processo, con accuse come corruzione, estorsione, peculato, truffa e abuso d'ufficio. Lo scorso 26 luglio, il pg Alessandro Diddi ha chiesto per lui la condanna a 13 anni e tre mesi di reclusione, l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e 18.750 euro di multa, oltre alla confisca di quasi 100 milioni di euro. 

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