Palazzo Londra, il Sostituto Pena Parra: «Il Papa autorizzò a pagare Cecilia Marogna e fui costretto a indagare sullo Ior»

monsignor Edgar Pena Parra, Sostituto alla Segreteria di Stato vaticana
di Franca Giansoldati
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Venerdì 17 Marzo 2023, 18:30 - Ultimo aggiornamento: 21 Marzo, 18:10

Città del Vaticano – «Cecilia Marogna? Il suo nome l'ho letto sui giornali». Il Sostituto alla segreteria di Stato, Edgar Pena Parra, interpellato dal presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone conferma che il Papa lo autorizzò personalmente a completare i versamenti (fino a 575 mila euro) alla esperta in geopolitica incaricata precedentemente dal cardinale Angelo Becciu a farsi da tramite con operazioni di intelligence per arrivare alla liberazione di una suora rapita in Mali dai jihadisti con il pagamento del riscatto. Una vincenda intricata saltata fuori durante il processo per  la compravendita del palazzo a Londra che ha portato all'imputazion di dieci persone tra finanzieri, funzionari vaticani, oltre il cardinale Becciu e Marogna (che finora non si è mai presentata in aula).

L'arcivescovo Pena Parra ha raccontato che venne a conoscere questa storia direttamente da monsignor Alberto Perlasca (il testimone numero uno, ndr): «venne da me con un ordine di trasferimento bancario.

Non c'era un nome, solo quello della società. Mi disse che era una cosa che Becciu stava portando avanti da tempo». La replica del Sostituto fu che non poteva firmare quel foglio se non ne parlava «prima con il Papa che, durante una successiva udienza - ha riferito -  mi ha confermato di autorizzare quei versamenti. A quel punto dissi a Perlasca che avevo bisogno di parlare con Becciu, il quale mi spiegò che si era adoperato per la liberazione della suora». 

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L'arcivescovo nella deposizione ha anche aggiunto che durante il colloquio avuto con Becciu, questi non gli parlò mai della Marogna. «Il suo nome lo ho poi letto dai giornali». La reticenza a fornire particolari sull'operazione in corso per la liberazione della suora in Mali era vincolata dal segreto pontificio.

«Un obbligo dal quale Papa Francesco mi ha dispensato solo il 22 marzo 2022» ha precisato il cardinale Becciu in una dichiarazione spontanea in aula. 

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Il quadro di riferimento di quel periodo, viene descritto da Pena Parra in modo drammatico. Quando nel 2018 arrivò in Vaticano a ricoprire il ruolo di Sostituto, proveniente dalla carriera diplomatica, si trovò a gestire una situazione esplosiva. Si era appena consumato il cambio di proprietà del palazzo londinese e il Vaticano nel 2019 si trovò in possesso di azioni vuote che non avevano alcun diritto di voto, visto che il finanziere Torzi (imputato al processo) era riuscito a far firmare a monsignor Perlasca un contratto capestro a nome della Segreteria di stato. Il clima, in ogni caso, era semplicemente poco edificante. Nessuno si fidava più di nessuno e per monsignor Pena Parra fu necessario ricorrere ai servizi segreti e alla Gendarmeria per raccogliere informazioni sullo Ior. 

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Del resto, ha spiegato Pena Parra, c'erano state troppe “anomalie” da parte della banca del Papa (alla quale era stato chiesto un prestito interno di 150 milino di euro). Parra nutriva poi sospetti sul direttore della banca vaticana, Gianfranco Mammì convinto che agisse in combutta con il finanziere molisano, Torzi – uno dei dieci imputati al maxi processo. «Ero sorpreso dall'atteggiamento dello Ior che ci ha fatto aspettare tutti quei mesi facendoci spendere un milione di euro al mese di interessi negativi per poi negarci senza motivo il prestito per il mutuo sul Palazzo di Londra. Perciò chiesi alla Gendarmeria di fare un rapporto sullo Ior: aveva un atteggiamento anomalo. L'ho fatto e lo rifarei. Era mio dovere. Temevo che Torzi tornasse dalla finestra dopo essere uscito dalla porta». Allo stesso tempo Pena Parra ricevette anche un report dai servizi segreti italiani dove emergeva che in passato vi fossero stati stretti legami tra Mincione e Torzi.«Per la vicenda di Carige e di altre banche, si diceva che avessero fatto cose assieme». 

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La sfiducia viaggiava carsica ed era alimentata dalla preoccupazione che Torzi - poichè deteneva le azioni con diritto di voto -  potesse vendere il palazzo a scapito del Vaticano. Iniziò così, con queste premesse, la onerosissima trattativa con il broker molisano per convincerlo a cedere le sue azioni al Varticano. Intervenne anche Papa Francesco che dopo avere ricevuto a Santa Marta Torzi il 26 dicembre 2019 autorizzò il pagamento da uno a 3 milioni di euro, che però poi col tempo salirono a 15 milioni. 

Pena Parra chiarisce – interrogato dalla professoressa Paola Severino, avvocato di parte civile della Segreteria di Stato – che in quel periodo non era ricattato da qualcuno. “No” è stata la risposta. In questo intreccio di fili, è emerso che Torzi aveva avuto rapporti finanziari con Capaldo e che l'avvocato Intendente era socio di Torzi. «Ma io non lo sapevo». 

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