Carissimi (Lega): «Rifiuti, una legge sull'economia circolare e apertura ai termovalorizzatori»

Carissimi (Lega): «Rifiuti, una legge sull'economia circolare e apertura ai termovalorizzatori»
di Daniele Carissimi
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Venerdì 24 Dicembre 2021, 19:13 - Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre, 00:21

Riceviamo e pubblichiamo l'intervento del consigliere regionale della Lega avvocato Daniele Carissimi sul tema del recupero rifiuti in Umbria.

Produco, consumo, conferisco in discarica.

Questa impostazione “lineare” è superata e opposta a quella “circolare” che dovremmo invece perseguire.

I risultati fallimentari del nostro superato modello sono l’effetto dell’indolenza colpevole della politica nel non aver cercato/trovato alternative. La discarica, infatti, è sempre stata l’unica e sola destinazione dei rifiuti (al netto di quelli recuperati che, attenzione sono molto meno di quelli raccolti in maniera differenziata) calcolabili ancora nella misura di circa il 40% dl totale di quelli prodotti (!!).

“Raccogliamo” abbastanza (63,4% di media) ma “recuperiamo” poco; quindi, ci fermiamo a vincere il primo tempo ma a perdere la partita.

Gli impianti di riciclo-recupero infatti sono insufficienti e offrono servizi di modesta qualità, manca una strategia nazionale e regionale, c’è bisogno di una visione per il futuro e un’unitarietà di gestione.

Si aggiunga che la nostra organizzazione del servizio si basa su una frammentazione di microsistemi locali, corrispondenti ai quattro sub-ambiti, governati da altrettanti gestori.

Condizione che ha prodotto squilibri in termini di asimmetria per servizi e risultati in cui le strategie si sono dimostrate talvolta alternative, (se non addirittura competitive) fra i gestori.

A rendere insostenibile e preoccupante la situazione umbra c’è la volumetria residua degli impianti di smaltimento in quanto, delle sei discariche regionali, tre non hanno più capienze disponibili (Colognola, Sant’Orsola, Pietramelina), e sulle altre tre (Le Crete, Belladanza e Borgogiglione) rimane una capacità residua complessiva per un totale di circa 600mila tonnellate e un fabbisogno acclarato di oltre 1 milione di mc proiettato al 2035.

Tale presupposto, tradotto su un fabbisogno storicizzato e stabile di conferimento in discarica di 200.000 t/anno, implica che tra tre anni saremo al collasso dovendo ritenere più che probabile, sin dai prossimi mesi, l’adozione di inevitabili provvedimenti di aumento di volumetrie sugli impianti di smaltimento esistenti (chiamiamole pure ipocritamente “profilature”) che non saranno di certo ben accolti dalle comunità locali.

Misure dolorose che potranno essere accettate dalla cittadinanza solo se sia evidente che siano inevitabili, temporanee e strumentali in relazione all’adozione del modello di chiusura del ciclo che sapremo preferire il quale non potrà che garantire finalmente sostenibilità, autosufficienza e benefici.

Occorre quindi decidere subito e cominciare a comunicare bene agli Umbri dove siamo ma, soprattutto, dove vogliamo andare attraverso la scelta di chiudere il ciclo integrato nella nostra regione. Bisognava farlo già molto tempo fa. Ma la politica ha abdicato finora alle sue responsabilità nel settore tirando la palla in avanti come se non vi fosse un momento in cui tale problema rivivesse presentando il conto. Quel momento è giunto. Non si può attendere oltre. Siamo già in forte ritardo.

Il problema gestionale umbro infatti può essere risolto in primo luogo da una nuova legge regionale sull’economia circolare e sul riordino delle funzioni dell’AURI, per la quale sono già intervenuto presentando due proposte di legge attualmente pendenti in Commissione dell’Assemblea Legislativa. In secondo luogo attraverso la redazione e l’attuazione di un nuovo PRGR lungimirante, efficace e risolutivo, condiviso con una cittadinanza unita e convinta che dovrà essere protetta dalle strumentalizzazioni dalla politica su false minacce.

In questo momento di importanti scelte pianificatorie che impatteranno sul futuro dei prossimi anni risulta infatti indispensabile fermare sul nascere quei prevedibili populismi che hanno finora trainato il consenso elettorale costruito sulle demagogie ambientali e alimentato impropriamente le fiamme dell’allarmismo. I dati nazionali, ma anche umbri, parlano chiaro: il recupero energetico dei rifiuti non recuperabili è inevitabile e giustificato in quanto non tutti i rifiuti si riescono a recuperare anche spingendo al massimo il riciclo e recupero di materia.

Il recupero energetico è sempre preferibile al conferimento in discarica ce lo dice la legge, la tecnica e l’economia.

A comprova dell’assunto possono essere richiamate anche quelle realtà gestionali, elevate a modello virtuoso simbolo di efficienza nazionale, dove si raggiungono livelli di raccolta differenziata all’85% e dove operano impianti di riciclo e recupero di materia super efficienti e all’avanguardia: in tali gestioni l’inevitabile quota di scarto viene comunque gestita nel rispetto della gerarchia dei rifiuti (“rifiuti zero” è e rimane mera utopia di letteratura di settore): si deve recuperare come energia ciò che non è riciclabile e in discarica devono finire solo materiali non riciclabili e non combustibili.

E’ quindi giunta l’ora di superare la stagione delle propagande politiche contrarie ideologicamente alla termocombustione degli scarti non ulteriormente recuperabili in quanto oggettivamente desuete, capziosamente allarmistiche e decisamente contrarie allo sviluppo del Paese. Non si può far finta di non sapere che sono comunque e sempre attività iper-controllate in continuo attraverso sistemi di rilevazione collegati direttamente con gli organi di controllo pubblici (Arpa) oltre ad essere autorizzate con titoli rilasciati dopo attente istruttorie in cui sono previste severe e rigide prescrizioni a tutela della sicurezza e della salute.

Inutile ribadire che solo in certe parti d’Italia, tra cui purtroppo la nostra, c’è questa atavica resistenza verso una tecnologia che altrove, anche a pochi chilometri dalla nostra Regione (Toscana, Lazio, Emilia Romagna), coniuga progresso tecnologico, sviluppo industriale, risparmi energetici e, in certi casi, addirittura interesse turistico e incremento immobiliare. Ricordo che nel nostro Paese solo sei regioni, tra cui la nostra, non hanno un termovalorizzatore nonostante il Decreto Salva Italia del Governo Renzi ne abbia previsto in Umbria la necessità per la chiusura del ciclo degli urbani sin dal 2015. Solo la Toscana, tanto per fare un esempio, ne ha 4 e la Lombardia 13. Siamo la regione peggiore dopo la Sicilia e Molise per percentuale di rifiuti conferiti in discarica con percentuali superiori al 40%.

Senza soluzioni non avremo cambiamento. Senza cambiamento non avremo soluzioni.

Occorre però fare presto ed esercitare la responsabilità di decidere.

Consigliere Regionale Regione Umbria 

(1. Continua)

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