La Lazio cresce, la Roma è ferma: il gruppo di Sarri è maturo e la squadra di Mourinho è involuta

L'analisi delle squadre dopo il derby vinto dalla Lazio

La Lazio cresce, la Roma è ferma: il gruppo di Sarri è maturo e la squadra di Mourinho è involuta
di Andrea Sorrentino
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Martedì 8 Novembre 2022, 07:27 - Ultimo aggiornamento: 9 Novembre, 09:14

Napoli escluso, è un campionato di incertezze che si trascinano, di squadre amletiche in cerca di identità, come Roma e Lazio. I semplici numeri possono ingannare, e suggerire l'opposto, addirittura una crescita tecnica generale: confrontando la classifica con quella di un anno fa dopo 13 turni, in effetti quasi tutte le prime sette, tranne Inter (-4) e Milan (-3), hanno qualche punto in più, ma quello è dovuto al fatto che siamo in una serie A di squadre sempre più deboli in seconda fascia, visto che ce ne sono ben 5 sotto i 10 punti, mentre un anno fa erano solo tre. È insomma più facile razziare punti in terza fumatori, ma in realtà le grandi sono ancora in cerca d'autore e di una fisionomia certa. Roma e Lazio, non ne parliamo. Eppure, anche se in classifica sono divise da soli due punti (vinte 8 partite da entrambe, la differenza la fanno due pareggi in più della Lazio contro due sconfitte in più della Roma), e il derby l'ha vinto la Lazio di un'incollatura (1-0 con due tiri in porta a uno), qualcosa nella partita di domenica pomeriggio autorizza a pensare che in realtà il progetto di Sarri sia più avanti e abbia ulteriori margini di crescita, mentre quello di Mourinho sembri appannato, in stallo. E non solo perché l'allenatore laziale ha vinto due derby su tre contro José, quello è pane per statistici e tifosi, e per le rivalità personali. È proprio l'aspetto delle due squadre a essere diverso.

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STALLO GIALLOROSSO
Partiamo dalla Roma, che preoccupa, anche se ha 3 punti in più di un anno fa (ma +4 in differenza reti, rispetto al +8 del 21-22): finora ha perso 6 volte, troppe, in 19 partite ufficiali. Anche nel derby ha esibito una manovra esangue e priva di variazioni, in linea con la stagione. Sarri ha scelto di concederle l'iniziativa, sapendo che quello è il suo tallone d'Achille. Finora la Roma di Mourinho ha mostrato un basso livello tecnico generale, nelle prestazioni di squadra e in quelle dei singoli, del resto il poverissimo dato dei 16 gol segnati racconta molto. Ha faticato a imporre il suo gioco preferendo la controffensiva, e il disegno le ha consentito di vincere le partite che doveva vincere, 7, contro avversarie assai inferiori, più quella contro l'Inter a Milano. Spesso l'ha aiutata il geniaccio di Dybala, altre volte San Calcio Piazzato, ben di rado l'espressione tecnica collettiva.

Ma contro Atalanta, Napoli e Lazio, ipotetiche parigrado, ha perso all'Olimpico nonostante la spinta dei soliti 62mila, e in due casi su tre facendo una figura poco edificante. Il problema, a parte il fatto che senza Mkhitaryan si è perso un sicuro riferimento tecnico, è che i giocatori della Roma hanno smesso di migliorare, e questo potrebbe chiamare in causa l'allenatore, o il clima generale nella squadra. Tutti regrediti, Mourinho compreso. Non hanno più fatto progressi Mancini e Ibanez, anzi. Si è sostanzialmente fermata la crescita di Zalewski. Cristante sembra imballato. Abraham è sprofondato chissà dove, 3 gol in 18 partite e prestazioni vuote. Pellegrini non ha quasi mai avuto le gambe piene e reattive, anche se ha garantito il piede felice sui calci piazzati. Zaniolo continua a prendere a testate i muri, rinunciando sempre più spesso alla tecnica: perché questa involuzione, visto che poi i muscoli non gli servono per segnare? A proposito di muscoli: troppi infortuni in più, in squadra, rispetto allo scorso anno, chissà che succede. La Roma non migliora più, si è illanguidita. E Mourinho non riesce a cambiare strategia, appannato anche lui. Non una situazione rasserenante: vincere di forza e con gli strappi, in attesa di Dybala, sembra l'unica opzione. Non granché.

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LA SCALATA DI MAU
Il derby ha invece raccontato che la Lazio di Sarri è ora in grado di mutare fisionomia, e di poter giocare anche una partita di attesa, concedendo palla all'avversario. Le era già capitato in altre partite quest'anno, l'ha confermato con la Roma. Non si va più solo all'attacco, ma si ascolta il battito della gara e dell'avversario, e ci si adegua. Questione di equilibrio, interno e sul campo. Anche per questo la Lazio ha 6 punti in più di un anno fa, ha enormemente migliorato la differenza reti (ora +17, nel 21-22 +4) e ha la seconda difesa del torneo, mentre lo scorso anno era addirittura la dodicesima. È come se il burbero maestro Sarri sia riuscito a prendere per mano tutti, e in effetti di giocatori migliorati ce ne sono tanti nella sua rosa: da Patric a Cataldi, a Zaccagni sempre più solido in copertura, a Lazzari che si è disciplinato nel ruolo di esterno a 4 dopo mesi di patimenti, a Marusic che si distrae meno, e per tacere dei nuovi arrivi Casale e Romagnoli, fino allo stesso Milinkovic, ora dominante nelle due fasi, non più solo in attacco. La sensazione è quella di un gruppo in crescita, con le sue inevitabili defaillances quando si avvicinano le coppe, ma intanto è un gruppo che prova la scalata. Al punto da trovarsi perfettamente a suo agio anche nella partita difensiva e di risparmio di energie che è stato il derby, anzi sembrava che la Lazio quasi si divertisse a interpretare lo strano spartito, perché evidentemente ha alle spalle conoscenze e riferimenti mandati a memoria, attraverso cui può leggere la partita e regolarsi di conseguenza. Segno che c'è un grosso lavoro dietro, anche se poi il gol di Felipe Anderson nel derby è arrivato per caso, e per errore altrui. Un altro, il brasiliano, enormemente cresciuto con Sarri: non più semplice ala dalle lune alterne, ma ora esterno sulle due fasi e all'occorrenza centravanti, anzi con un'interpretazione del ruolo molto interessante per quel suo cucire il gioco spalle alla porta (lo fa meglio di Immobile, nessuno si offenda). È insomma una Lazio più matura e consapevole, più squadra, più serena. Il derby invece ci ha rivelato che la Roma è in mezzo al guado, s'è smarrita, e il tocco di José è diventato inavvertibile: quello sì, che sarebbe un enorme problema, anzi il più grave. Perché senza il miglior Mourinho questa Roma diventerebbe davvero poca cosa.

 

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