Da Grande Bellezza a Smart city: un progetto realizzabile in dieci anni

Per costruire la capitale del futuro occorre uscire dall'immobilismo facendo leva sulla tecnologia e una buona governance

Da Grande Bellezza a Smart city: un progetto realizzabile in dieci anni
di Alessandro Campi
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Sabato 17 Giugno 2023, 09:06 - Ultimo aggiornamento: 19 Giugno, 07:07

Che cos’è una “smart city”, la formula magica del nostro futuro prossimo? Partiamo dalla definizione, quella che ne offre l’Unione europea: «Una smart city è un luogo in cui le reti e i servizi tradizionali sono resi più efficienti con l’uso di soluzioni digitali a beneficio dei suoi abitanti e delle imprese. Una città intelligente va oltre l’uso delle tecnologie digitali per un migliore utilizzo delle risorse e minori emissioni. Significa reti di trasporto urbano più intelligenti, impianti di approvvigionamento idrico e di smaltimento dei rifiuti migliorati e modi più efficienti per illuminare e riscaldare gli edifici. Significa anche un’amministrazione più interattiva e reattiva, spazi pubblici più sicuri e un migliore soddisfacimento delle esigenze di una popolazione che invecchia».

La Roma da costruire 

Ecco a voi, verrebbe da dire, la Roma da costruire. Quella possibile, quella necessaria. Non più frenata nel suo sviluppo, anzi spesso costretta ad una sorta di compiaciuto immobilismo, né dal peso del suo ineguagliabile passato (una realtà della storia spesso utilizzata come alibi politico per non decidere) né dalla sua “grande bellezza” (il tempo e l’incuria sono nemiche della bellezza umana, figuriamoci di quella architettonica, storico-culturale o paesaggistica). Come tutte le formule o espressioni alla moda (resilienza, sostenibilità, transizione ecologica, mettere a terra, ecc.) anche questa, “smart city”, rischia l’inflazione: sembrano fatte apposta per fare bella figura nelle occasioni pubbliche e nei documenti programmatici. Il problema è che non basta invocarle perché ne segua qualcosa di tangibile. Una “città intelligente” è innanzitutto un sistema, nel quale tutto si integra in modo funzionale: la pianificazione urbanistica e i servizi ai cittadini, i trasporti e le infrastrutture immateriali (a partire da quelle digitali), l’efficienza energetica e la politica del turismo, la manutenzione ordinaria e l’attività amministrativa, l’inclusione sociale e la gestione degli spazi pubblici. Il che significa avere una visione strategica, pianificata e organica di come una comunità organizzata su un territorio debba funzionare. Ma qual è la situazione odierna di Roma? Quanto è lontana (o vicina) dall’essere una smart city? Le classifiche comparative non dicono tutte la stessa cosa, a conferma che forse non bisogna prenderle troppo alla lettera, ma solo come indicative di una linea di tendenza (o di una potenzialità). Dipende al solito dalle fonti e dai criteri di valutazione usati. Secondo “ICity Rank 2022”, una ricerca presentata il 29 novembre 2022 al Forum Pa Città, la Capitale occupa il terzo posto (a pari merito con altre realtà urbane italiane) nella graduatoria dei 108 Comuni Capoluogo per quel che attiene il cosiddetto “indice di trasformazione digitale”, calcolato sulla basi di numerosi indicatori e variabili: dai servizi online alle piattaforme abilitanti, dai canali social al WiFi pubblico.

LA CLASSIFICA DELLE CITTA' 

Al primo posto si trova Firenze. Per la classifica “EY Human smart city index 2022”, che vede Milano al vertice sia nella transizione digitale sia nelle infrastrutture e nell’utilizzo dei servizi online, Roma si posiziona invece al dodicesimo posto: cinque posizioni in meno rispetto al ranking 2020 a causa soprattutto del suo ritardo nel processo di transizione ecologica. C’è poi lo Smart City Index 2023 elaborato dall’International Institute for Management Development, secondo il quale gli esempi virtuosi su scala globale sono conglomerati metropolitani quali Zurigo, Canberra, Oslo, Singapore, Seoul e Hong Kong. La prima città italiana, Bologna, la si trova alla 51esima posizione, Milano è all’82esima, Roma alla 122esima. Ma lasciamo i numeri e le graduatorie e veniamo alla politica: alle scelte che quest’ultima deve fare, oltre le promesse e le buone intenzioni. Un piano denominato “Roma Smart City” è stato presentato dall’Amministrazione capitolina nel marzo 2021, preceduto dal lavoro progettuale del Laboratorio Smart City di Roma Capitale. Numerosi gli ambiti di intervento previsti: sicurezza, sviluppo economico, turismo, partecipazione culturale, mobilità, ambiente, energia. Un’ottantina i progetti messi nero su bianco: alcuni già in corso, altri programmati (ma altri nel frattempo ne sono stati messi a punto). L’obiettivo, grazie anche al buon uso delle risorse del Pnrr, è delineare la nuova Roma, la Capitale del futuro, nell’arco di un solo decennio: una scadenza che include il Giubileo del 2025, ma che potrebbe inglobare anche l’Expo 2030. Un disegno ampio e ambizioso, partorito sotto la sindacatura di Virginia Raggi ed ereditato dal suo successore Roberto Gualtieri, che come intuizione fondamentale – un po’ fumosa ma comunque suggestiva – ha quella di fare di Roma la Capitale Mondiale della Creatività e delle Cultura Umanistica, la culla dell’Umanesimo Digitale.

Senza dimenticare che nella tradizione italiana della creatività umanistica rientrano, oltre l’arte e la cultura, anche la manifattura (oggi diremmo le attività produttive e l’imprenditorialità), il commercio, l’organizzazione degli spazi urbani (dunque la progettazione architettonica), l’uso razionale ed efficiente delle risorse, l’innovazione al servizio del buon vivere, la capacità di accoglienza e le relazioni umane solidali, il sapere e la formazione, eccetera.

Ciò chiarito, parliamo per Roma di un futuro obbligato, ma soprattutto alla sua portata, considerata l’ampiezza straordinaria e molti versi unica del suo capitale – materiale e immateriale – di partenza. Dopo di che la differenza, come sempre, la faranno anche in questo caso le persone: oggi la si chiama governance, per dire che senza risorse umane, capacità professionale, dedizione al servizio e buona volontà individuale, così come senza una collaborazione virtuosa tra tutte le componenti sociali, economiche e istituzionali di un territorio, anche le idee migliori rischiano di restare tali. Ci rivediamo, nel segno di un moderato ma ragionevole ottimismo, tra dieci anni. 

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