Carlo Verdone: «Vi racconto gli artisti che hanno davvero celebrato Roma»

L'attore romano in visita al Messaggero ripercorre la storia artistica della città e quei personaggi irripetibili

Carlo Verdone in visita alla redazione del Messaggero
di Gloria Satta
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Sabato 17 Giugno 2023, 08:34 - Ultimo aggiornamento: 19 Giugno, 07:06

Dal Belli a Monica Vitti, da Alberto Sordi ad Armando Trovajoli, da Petrolini a Gigi Proietti e Carlo Verdone: non si contano i romani illustri che nel corso del tempo hanno celebrato la loro città sul palcoscenico, nel buio di una sala cinematografica, nelle pagine dei libri.

Carlo Verdone: «Una mostra fatta ad arte con tutte le pagine storiche»

È una lunga, indissolubile storia d’amore quella che unisce Roma alla cultura e allo spettacolo. Inizia nell’Ottocento e continua ancora oggi a dare i suoi frutti. E nessuno più di Carlo Verdone, romano doc innamorato della propria città a cui ha reso omaggio nei suoi film e conoscitore attento della storia, è adatto a commentare il fenomeno. «I grandi artisti romani, ciascuno a modo proprio, hanno interpretato l’essenza della Capitale che è sempre stata maestosa, importante, dominatrice ma nello stesso tempo un po’ cialtrona», osserva l’attore e regista, «e nella loro testimonianza, appassionata ed efficace anche quando è percorsa dall’ironia più feroce, ricorre una costante: sia pure denunciandone paradossi e difetti, hanno tutti il desiderio di nobilitare la città mostrandone la creatività, la vitalità, la generosità». 


In un quarantennio di carriera Carlo, 72 anni e l’energia mai scalfita del neofita, ha messo il cuore storico di Roma con i suoi irresistibili tipi umani al centro delle sue commedie più fortunate, da Un sacco bello a Viaggi di nozze, Sotto una buona stella, alla recente serie Vita da Carlo. Non ha mai smesso di analizzare, scandagliare, quasi radiografare la sua amatissima città.

Gli antesignani Trilussa e Gioacchino Belli 

«Ma il primo ad esaltare Roma», dice, «è stato Giuseppe Gioacchino Belli che nelle sue poesie ha raccontato, con ironia finissima e penetrante, il volgo romano mettendone in evidenza l’acutezza, lo spirito indomabile, il disincanto. È stato un attento psicologo dell’animo capitolino». Per non parlare di Trilussa. «Da giornalista, scrittore e critico, ha raccontato la Roma dei suoi tempi, gli inizi del Novecento», afferma Verdone, «ha modernizzato le favole più antiche adeguandole all’epoca in cui ha vissuto. Ha praticato l’istologia del popolo romano che lui chiamava con rispetto romanesco». E di quel popolo è espressione Ettore Petrolini. «Era nato dal teatro minore», ragiona Carlo, «quello del varietà, della rivista, dell’avanspettacolo.

Un mondo che nascondeva insidie infinite, come le pernacchie pronte a piovere dal loggione. Ma il grande attore rispondeva agli insulti e alle provocazioni con fulminea perfidia: “Lascia aperto che mo’ arrivo”. Una battuta che sintetizza il disincanto romano, la capacità di non scomporsi in nessuna occasione. Le famose macchiette di Petrolini erano poi il pretesto per fustigare la politica. Come Nerone, parodia della retorica imperiale che sottintendeva la presa in giro del regime fascista. L’attore ha inventato un repertorio e una maniera di recitare che avrebbero influenzato le generazioni successive. Ha ispirato anche Proietti». 

Da Alberto Sordi a Gigi Proietti


Gigi, un altro gigante romano, un altro artista innamorato di Roma e della romanità che ha fatto vibrare nei suoi spettacoli, nei suoi film, negli sketch tv. «Ha interpretato la nostra città cogliendone lo spirito più autentico e sornione. Non a caso aveva cominciato la carriera come cantante nei ristoranti, punti privilegiati di osservazione che gli hanno permesso di studiare la gente, di assorbirne gli umori, i tic, l’anima». Dopo la fase canora, Proietti esplode come attore: «Alberto Sordi mi ha sempre detto che, a livello di impatto scenico, era il numero uno», ricorda Carlo, «il suo show dei record A me gli occhi, please, era palesemente “rubato” ai tempi involontariamente comici del popolo romano».


Quando si parla di maschere orgogliosamente romane, il pensiero di Carlo vola ad Aldo Fabrizi. «Il suo volto marcato rappresentava la città meglio di mille parole. Aveva la faccia di chi “magna”», dice l’attore, «le sue battute affilate nascevano dalla storica saggezza romana, una dote che ho ritrovato anche nella sorella, la mitica Sora Lella che ha recitato nei miei film. Aldo ha incarnato con estrema umanità i personaggi più umili: il pescivendolo, il tranviere, la guardia. È stato un grande comico ma ha dispiegato anche una carica drammatica travolgente: penso all’interpretazione del prete in Roma città aperta, o all’amara scena di C’eravamo tanto amati in cui viene schiaffeggiato dal genero Vittorio Gassman». 


Se pensi alle donne, il volto drammatico di Roma s’identifica con la maschera di Anna Magnani. Non a caso la grande attrice venne scelta da Federico Fellini nel suo film Roma come simbolo delle affascinanti contraddizioni della città che è «lupa e vestale, aristocratica e stracciona, tetra e buffonesca». Dice Verdone: «Anna Magnani è stata un’icona, l’incarnazione del popolo della città. Aveva la capacità di tirar fuori la sua anima per entrare in quella di tutti che si riconoscevano nella sua disperazione, nei suoi patemi, nella sua euforia». L’attore incontrò Nannarella nel 1965, allo storico concerto dei Beatles all’Adriano: «E lei, che aveva accompagnato il figlio Luca, osservava con aria schifata noi giovani scatenati: eravamo la prova che la città stava cambiando...». 

La mattatrice Monica Vitti


Altra mattatrice del cinema, altra icona: Monica Vitti. «Ha espresso l’anima di Roma nella duplice veste di attrice drammatica dei film dell’incomunicabilità di Antonioni, poi è stata una strepitosa comica che attingeva la sua ironia allo spirito capitolino». Ebbe successo in coppia con Sordi: «E lui è stato il più grande di tutti», dice Carlo che, pur amatissimo da Albertone e suo partner in due film (In viaggio con papà e Troppo forte), ha sempre rifiutato con umiltà la definizione di suo erede: «Lui è stato unico, un tutt’uno con la sua maschera creata dall’osservazione della realtà. Ha creato il neorealismo comico. Ha raccontato talmente bene difetti e vizi dei romani da influenzare la gente che ha finito poi per imitarlo. Ha infuso la sua conoscenza profonda e il suo amore per la città non solo nei film ma anche negli articoli di costume che per vent’anni ha scritto per Il Messaggero parlando con disincanto di esterofilia e vacanze di massa, slang romanesco e avanspettacolo, botticelle, giovani».

I grandi registi 


E che dire di Sergio Leone, scopritore e primo produttore del Verdone cinematografico? «Conosceva la città palmo a palmo e in ogni angolo aveva una storia da raccontare: qui abitava un ladro, mi diceva, là da piccoli giocavamo a pallone, là ancora c’era il venditore di caldarroste». Di altro segno, ma non meno significativa, la romanità di Nanni Moretti. «Ha raccontato la città moderna descrivendo le tensioni studentesche del Sessantotto, i cineclub degli anni Settanta, inventando una nuova comicità. È stato poi un romano illuminato che ha fatto del bene alla città aprendo il cinema Nuovo Sacher». 


Capitolo a parte i musicisti romani che hanno esaltato Roma in tutte le forme: «Trovajoli, insuperabile e coltissimo compositore di grandi musical come Rugantino, ne ha messo in luce il romanticismo e la poesia. Un brano immortale e conosciutissimo come Roma nun fa la stupida stasera continua ad esportare la magia della Capitale in tutto il mondo». 


Ennio Morricone? «Ha intinto il suo talento in una cultura musicale profonda che oscilla tra lo sperimentalismo di Nuova Consonanza e le colonne sonore dei western di Leone composte nella sua casa affacciata sull’Ara Coeli. Ma la sua musica affonda le radici nelle note di Respighi, cantore dei Pini e delle Fontane di Roma». Tra i grandi musicisti romani c’è Nicola Piovani: «Cresciuto al Trionfale, è un esempio di eleganza, delicatezza, misura, tutti aspetti che contribuiscono a rendere affascinante la Capitale». 


E arriviamo al rapporto di Verdone stesso con Roma... «L’ho amata e continuo ad amarla in modo viscerale», spiega l’attore, «il mio libro La casa sopra ai portici esprime questo sentimento attraverso il racconto della mia infanzia vissuta in un appartamento affacciato su Ponte Sisto da cui ho potuto osservare la gente del quartiere, come mi avevano suggerito i miei genitori». Il suo primo film Un sacco bello girato nel 1980, aggiunge, «è proprio un omaggio alla mia città, alla poesia della vecchia Trastevere ancora a misura d’uomo, a quelle estati silenziose al riparo dall’invasione dei turisti». Viaggi di nozze, dominato dal coatto-cult Ivano, «è un aggiornamento ai tic e alle mitomanie incontrati nel periodo universitario. Ho cercato di raccontare la verità di ogni mio personaggio e sono stato innamorato di tutti. Ho sottolineato, oltre all’aspetto comico o grottesco, anche la loro solitudine e malinconia». Nella seconda stagione della serie autobiografica Vita da Carlo che vedremo presto su Paramount+, lo sguardo di Verdone si ferma sui giovani, da Caterina De Angelis che fa sua figlia (e nella realtà è figlia di Margherita Buy) ad Antonio Bannò nel ruolo del suo ex. Di Roma, Verdone ha inoltre scoperto o riscoperto talenti come Mario Brega, incarnazione dello spirito verace della città, Angelo Infanti immagine delle sue mitomanie, Sora Lella emblema della schiettezza popolana. «Nei miei film Roma c’è stata e ci sarà ancora. Sono un artista che, nonostante tutto, continua a voler bene alla sua città. E la amerò sempre». 
 

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