Roma, picchia moglie e figli per 27 anni: condannato per maltrattamenti padre violento

La sentenza del Tribunale: due anni e quattro mesi di reclusione, più il doppio risarcimento alle vittime

Roma, picchia moglie e figli per 27 anni: condannato per maltrattamenti padre violento
di Francesca De Martino
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Sabato 2 Aprile 2022, 07:38 - Ultimo aggiornamento: 08:19

Calci, schiaffi, bastonate sferrate con il manico della scopa, punizioni severissime, come restare fuori di casa in accappatoio, al freddo, in pieno inverno. E ancora: umiliazioni continue e minacce, durate per ben 27 anni. È il regime di terrore che, secondo la Procura, dal 1994 al 2016, un padre di famiglia romano avrebbe fatto vivere tra le mura di un appartamento sulla Prenestina alla moglie e ai figli, all'epoca dei fatti minorenni.

Ora Sergio Saolini, 58 anni, operaio ed ex agente della polizia penitenziaria, è stato condannato dal Tribunale a 2 anni e 4 mesi di reclusione con l'accusa di maltrattamenti in famiglia.

Il pm Andrea Iolis, invece, aveva sollecitato al giudice monocratico una condanna a 2 anni. L'imputato dovrà risarcire i danni alle vittime - che si sono costituite parte civile nel processo e sono assistite dagli avvocati Alessandro De Rubeis e Laura Bacchini - e pagare una provvisionale di 8mila euro alla moglie e alla figlia e di altri 8mila euro al figlio.

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I fatti contestati dall'accusa si sarebbero consumati dal 1994 al 2016, anno in cui la moglie dell'imputato aveva deciso di allontanarsi dall'appartamento di famiglia. Le vessazioni, a dire della donna, sarebbero cominciate già poco dopo il matrimonio. Secondo quanto ricostruiscono i pm nel capo d'imputazione, l'uomo avrebbe maltrattato in numerose occasioni la moglie e i figli con «calci, pugni, lancio di oggetti vari». Poi, avrebbe offeso con svariati insulti la madre dei suoi figli e le avrebbe augurato la morte: «Ti mando sulla sedie a rotelle», è una delle minacce riportate negli atti. Per l'accusa, l'imputato avrebbe costretto la famiglia a subire «un regime di vita tale da cagionare alla stessa sofferenze e paure», nonché uno stato di «disagio continuo ed incompatibile con normali condizioni di esistenza», scrivono i magistrati nel capo d'imputazione.

Quando la donna, il 10 aprile del 2016, aveva detto al marito che, dopo anni di sofferenze, se ne sarebbe andata via di casa mettendo così fine al matrimonio, lui l'avrebbe colpita con un pugno alla gamba sinistra e l'avrebbe afferrata per la gola. Pochi mesi dopo, in agosto, avrebbe colpito anche la figlia minore quando era da sola con lui. Lo avrebbe rifatto nell'ottobre dello stesso anno. La donna ha ripercorso davanti al Tribunale alcuni episodi di maltrattamento: «Una frase che mi diceva sempre è che nella nostra casa vigeva il regime di Mussolini e, se non mi stava bene, dovevo andarmene via. Ogni santo giorno vivevo nel terrore e raccomandavo ai miei figli di eseguire subito gli ordini del padre, altrimenti erano botte». E ha aggiunto: «Quando mia figlia aveva 8 anni, lei stava in accappatoio e l'ha sbattuta fuori dalla porta. Io l'ho raggiunta e ci ha lasciate per mezz'ora al freddo, era inverno. In un'altra occasione ha fatto lo stesso con me».

La difesa

Nel corso dell'ultima udienza, il 58enne, dal banco degli imputati, ha detto i giudici di non avere mai usato bastoni o oggetti appuntiti per rimproverare e colpire i figli, perché non rientra nel suo metodo educativo. «Le discussioni tra di noi c'erano, ma erano litigi che capitano anche in famiglie normali», ha sottolineato l'imputato. Gli avvocati di parte civile, in sede di discussione, hanno ribadito al giudice che non ci sarebbe stato «nessun intento educativo» nel comportamento adottato dall'imputato. «La signora, ad esempio, aveva riportato la frattura del dito ha detto l'avvocato Bacchini - e non ha potuto dire ai medici come era accaduto per paura che a casa le sarebbe stato dato il resto». Per la difesa si sarebbe trattato invece di episodi isolati, in un lungo periodo di tempo, e che non avrebbero configurato il reato contestato dall'accusa. Una tesi che non ha però convinto il giudice, che ha condannato l'imputato.

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