Guidavano macchine di lusso che si trovavano in bella vista nel garage di casa, tra cui Porsche Panamera, Mercedes e Audi Q3 e avevano 20mila euro nascosti in un cassetto, ma per lo Stato erano imprenditori falliti con alle spalle una scia di debiti con l'Erario che aveva raggiunto la cifra di 55 milioni di euro. Una bancarotta quasi simultanea di tutte le loro imprese di facchinaggio e pulizia operative nella Capitale che ha insospettito il nucleo di polizia economico-finanziario che, così, hanno puntato i riflettori sulla famiglia dell'imprenditore Sergio Rondina, accusato dalla Procura di Roma di bancarotta fraudolenta. Le indagini del pm Maurizio Arcuri, iniziate nel 2017, coinvolgono 13 persone, tra cui la moglie, il figlio e il cognato dell'imprenditore. A distanza di cinque anni, ieri, gli imputati - tranne due che hanno patteggiato - sono stati rinviati a giudizio. Rondina dovrà dunque difendersi in aula, assistito dagli avvocati Alessandro Diddi e Pier Gerardo Santoro.
Ferrero arrestato: gli affari, il cinema e la galera. La vita da strada di “Viperetta”
Porto di Ostia, ecco i regali di Balini. L'imprenditore a Gramazio jr: «Per te due case gratis»
I FATTI
Un modus operandi che, secondo il gip Monica Ciancio che ha redatto la misura di custodia cautelare, la famiglia ha ripetuto in diverse occasioni: prima aprivano le società e poi, dopo un breve periodo di tempo, dichiaravano bancarotta dissipando i beni, il denaro e le macchine, attraverso prelievi, bonifici e assegni con intestazioni fittizie con il solo fine di reimpiegare le somme anche attraverso l'acquisizione di immobili, come l'appartamento in via della Grande Muraglia che i coniugi Rondina avrebbero attribuito fittiziamente al figlio e che è stato poi rivenduto. Rondina si era aggiudicato anche le attività di ristorazione, caffetteria e bookshop del museo MAXXI di Roma, ma la sua società pagava in ritardo la quota degli incassi dovuta al museo o non la pagava affatto.