Poi le cose cambiarono: la Sebastiani sparì, il basket andò in crisi, il boom scemò e i campetti si svuotarono, anche perché la società stava cambiando. La maggior parte di chi legge questo articolo ha giocato in strada, ha corso nei campi, s'è arrampicata sugli alberi, s'è sbucciata le ginocchia, medicate con alcool che bruciava da pazzi, non temeva di ammalarsi e, pur invecchiando, non si lagnerebbe mai sentendo rimbalzare un pallone che aggrega tanti ragazzi attorno a un ritrovato rituale fisico e sano.
Oggi invece computer, internet, satellite, playstation, smartphone e mille diavolerie hanno reso i giovani pigri e sedentari - ma non le dita che scivolano sugli schermi a velocità della luce - mentre tutti, noi inclusi, sempre più presi a chattare, ovunque, in finta compagnia, stiamo perdendo il senso della socialità: sgretolatasi come le tribune in cemento di San Liberatore, il cui campo fu meritoriamente restaurato pochi anni fa per farlo tornare luogo di aggregazione.
Una socializzazione però sgradita a chi preferisce star chiuso, occhi e orecchie, nella propria solitudine, dimenticando di, essere stato un giovane carico di energie da liberare. Forse i «solitari» di San Liberatore sono invidiosi per la gioventù perduta. O, forse, sono solo smemorati. Forse, hanno più bisogno di aiuto loro dei ragazzi di via San Liberatore. Qualcuno faccia comunque qualcosa.
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