RIETI - Pesante il capo di imputazione iniziale contestato dalla Procura: detenzione a fini di spaccio, in relazione ad alcuni episodi avvenuti nel Cicolano. Termina così, con un’assoluzione («perché il fatto non sussiste») il processo a carico di un 40enne, residente nel Cicolano che, nel 2022, era finito al centro di una mirata attività investigativa portata avanti dalle forze dell’ordine e, al termine della quale, il 40enne venne ritrovato in possesso di un’importante quantità di hashish, pari a circa 100 grammi, nel corso di una perquisizione.
Le tappe. Ne scaturì un procedimento penale che aveva visto successivamente il rinvio a giudizio del giovane davanti al giudice delle indagini preliminari del Tribunale di L’Aquila perché “deteneva, ai fini di spaccio, 99,59 grammi di sostanza stupefacente”.
La tesi. Sposata la tesi difensiva sostenuta dall’avvocato Alessandro Felli che, con il pronunciamento della sentenza assolutoria, si è di fatto visto accogliere la linea difensiva nella sua interezza, secondo cui - come rimarcato in aula dal legale - «la mancata rilevazione del principio attivo contenuto nella sostanza avrebbe sostanzialmente escluso la rilevanza penale della condotta dell’imputato, poiché non è risultato provato il superamento dei limiti-soglia stabiliti dalla legge, nonostante il consistente quantitativo di stupefacente detenuto». Un disamina basata a partire dal concetto di “dose drogante”, affrontata sul doppio piano sia scientifico che normativo, nonché sugli effetti psicotropi in chi assume la sostanza stupefacente. In diritto, invece, la difesa dell’avvocato Felli ha portato all’attenzione del tribunale la mancanza della prova sulla presunta destinazione allo spaccio della sostanza stupefacente, desumibile dall’assenza di riscontri esterni, quali la mancanza di elementi per il confezionamento delle dosi, somme di denaro contante di piccolo taglio, bilancini di precisione. Prove che devono ricadere sulla pubblica accusa.