Roma e la beffa del Recovery, scompare il progetto promesso da Conte

Roma e la beffa del Recovery, scompare il progetto promesso da Conte
di Andrea Bassi
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Giovedì 10 Dicembre 2020, 00:48 - Ultimo aggiornamento: 13:41

Nelle 125 pagine del Recovery plan Roma è citata soltanto due volte. Per l’investimento sulla linea ferroviaria Roma-Pescara (ampiamente previsto, è anche tra le opere da commissariare), e la seconda volta genericamente per dire che gli investimenti sul sistema ferroviario regionale avranno effetti importanti sul trasporto dei pendolari in città come Milano, Roma e Napoli. Poi zero. Niente.

Eppure, poco più di un paio di mesi fa, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva pronunciato parole che lasciavano poco spazio alle interpretazioni. «Nel Recovery plan», aveva detto intervistato da Maria Latella, «ci sarà un progetto importante anche per Roma».

Una promessa fatta per provare a far digerire ai romani l’ennesimo schiaffo, la candidatura di Milano come terza sede europea dei brevetti, dopo quella persa per l’Agenzia del farmaco e l’assegnazione delle Olimpiadi invernali in condominio con Cortina, subito celebrate con una dote statale di un miliardo per il finanziamento delle infrastrutture. «Roma non deve dolersi, non era in competizione», aveva detto Conte.

Promettendo: «Per Roma pensiamo a progetti su misura che rispetteranno le sue caratteristiche storico culturali». Parole al vento, almeno fino ad oggi. E che rischiano di svuotare anche gli sforzi che alcune forze politiche stanno cercando di fare per riportare la Capitale al centro dell’agenda politica. Come l’iniziativa lanciata dal deputato Dem Claudio Mancini, e già accolta da altri parlamentari romani di tutti gli schieramenti politici, ossia quella di costruire una cabina di regia tra Palazzo Chigi e Comune che possa contare su un patto bipartisan, in modo da poter presentare al governo progetti concreti per Roma da lasciare in eredità al prossimo sindaco. Chiunque esso sia e da qualunque schieramento politico provenga. Progetti come la chiusura dell’anello ferroviario, o la depurazione delle acque del Tevere e dell’Aniene.

O il rinnovo completo dei mezzi del trasporto pubblico locale. Senza tralasciare cultura e turismo che sono altri due motori dell’economia della Capitale. Ma anche su questo fronte c’è da stare poco sereni. Dei 196 miliardi di euro tra prestiti e sussidi destinati da Bruxelles all’Italia, il governo ha deciso di destinare al turismo e alla cultura solo 3,1 miliardi di euro. Insomma, a un comparto annichilito dal Covid, che prima della pandemia dava lavoro a 3,5 milioni di italiani, che valeva il 13 per cento del Pil, lo stanziamento del governo è stato vissuto quasi come una beffa. Se non peggio.

«Il Covid ha completamente spazzato via l’economia nazionale legata al turismo. Eppure il Recovery Plan destina solo 3,1 miliardi di euro a questo settore, l’1,58% dei 196 miliardi complessivi. Una cifra assolutamente insufficiente che denota una mancanza di strategia per il potenziamento e la valorizzazione di una risorsa che da sola produce il 13% del Pil nazionale. Come se non bastasse, in questi 3 miliardi non c’è nulla per il mondo dell’accoglienza e della ristorazione che è completamente assente», ha commentato Lino Enrico Stoppani, presidente di Fipe-Confcommercio, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi. Sulla stessa linea Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi. «Oggi», ha spiegato, «è un tema di sopravvivenza, noi siamo stati molto critici sulla bozza di Recovery fund che è girata nelle ultime ore. Il vero turismo», ha sottolineato Bocca, «collabora per il 13% del Pil nazionale, ma su 209 miliardi di Recovery Fund a turismo e cultura vanno meno di 3 miliardi, con un’attenzione rivolta ai borghi. Oggi non è più un tema di guardare ai borghi, ma alla sopravvivenza delle imprese». 


LA REVISIONE
L’impressione, insomma, è che la bozza di piano predisposta da Conte per il consiglio dei ministri, sia profondamente da rivedere. Le insoddisfazioni sono molte. A cominciare da quella sulla Sanità, altro settore bistrattato con soli 9 miliardi di euro di stanziamento contro un fabbisogno calcolato dal ministro Roberto Speranza di 68 miliardi di euro. Così come qualche dettaglio in più andrebbe dato sui progetti per il Sud. Nel piano si parla di 100 miliardi di euro di risorse che saranno destinate al Mezzogiorno tra Fondi europei di coesione e risorse del Recovery, senza però grandi dettagli. Se non il fatto che il capitolo della coesione territoriale è stato accorpato con la parità di genere. Come se fosse la stessa cosa.
 

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