Gianfranco Viesti
Gianfranco Viesti

Impegni traditi/La scelta irrazionale di ignorare la Capitale

Impegni traditi/La scelta irrazionale di ignorare la Capitale
di Gianfranco Viesti
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Giovedì 10 Dicembre 2020, 00:05

Si può disegnare un progetto per l’intero Paese senza definire una prospettiva per la sua capitale? E’ il rischio che si sta correndo in Italia in queste settimane.
Si comincia a conoscere un po’ di più delle intenzioni del governo sull’utilizzo delle risorse europee grazie alla diffusione dell’aggiornamento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (che non ha un nome particolarmente attraente e felice: perché non chiamarlo Piano per la prossima generazione, usando il nome del programma europeo e individuando chiaramente i veri beneficiari?). C’è una prima suddivisione fra le sue grandi missioni; leggendolo, si trovano anche indicazioni di massima sui “progetti”. 


Sta provocando un po’ di discussione: al di là di quella fra le forze politiche, che sembra prevalentemente tattica, è un bene. E’ davvero difficile immaginare che un programma così complesso e ambizioso, da cui dipende gran parte del nostro futuro, possa essere tutto costruito da un piccolo gruppo di persone. E’ un bene che se ne discuta nel Paese, e poi, approfonditamente, nel Parlamento. Ad esempio, un tema che già è chiaramente emerso è quello dell’organizzazione e della gestione del Piano: senza un forte rinnovamento e potenziamento delle amministrazioni ordinarie, che al momento non sembra apparire, difficilmente l’operazione potrà essere coronata dal successo.

Un ulteriore elemento sembra evidente: nel Piano, allo stadio attuale, non ci sono le città e innanzitutto non c’è Roma. Certo, molti interventi, dalla mobilità sostenibile all’efficientamento energetico degli edifici pubblici, non potranno che avere una ricaduta sulle aree urbane. Ma senza un disegno più unitario dello sviluppo delle città, senza una visione complessiva del loro futuro, il loro impatto rischia di essere parziale. Questo vale a maggior ragione per la Capitale: è davvero difficile disegnare un programma di interventi per l’intero Paese senza interrogarsi sul ruolo che Roma potrà svolgere, e sugli ostacoli da rimuovere e le condizioni da creare affinché si possa concretizzare. 
L’Italia trascura da tempo questo tema, l’ha quasi derubricato a una questione locale: contrariamente a quello che succede in Germania e in Spagna, dove Berlino e Madrid sono centrali nelle grandi politiche nazionali; e ancor più in Francia e nel Regno Unito, dove c’è un problema opposto di eccesso di concentrazione di interesse e di investimento sulle due maggiori città. In nessuno Stato europeo c’è stata nell’ultimo ventennio un’accettazione così supina delle difficoltà della capitale, una rassegnazione al suo degrado, al suo ridimensionamento. In qualche italiano più rancoroso, quasi con malcelata soddisfazione. 


Non a caso questo in Italia ha coinciso con un periodo di pulsioni localistiche e regionalistiche, ben al di là delle opportune autonomie, utili e necessarie specie in un Paese così differenziato come l’Italia. Come se rafforzare Roma togliesse qualcosa agli altri territori; come se indebolirla rafforzasse gli altri capoluoghi; come se fosse preferibile un Paese acefalo, senza una città simbolica della sua unità, senza una dimensione nazionale. 
Bene fanno le forze politiche romane, prima che arrivi la prossima campagna elettorale, necessariamente divisiva, a provare a concordare alcuni grandi progetti destinati a svilupparsi nel tempo, quale che sia il colore dell’amministrazione.

Basta guardare alle grandi capitali europee per coglierne con immediatezza i grandi temi: dagli indispensabili e assai rilevanti interventi sulla mobilità (che potrebbe essere progressivamente radicalmente ridisegnata, come si sta facendo a Parigi e a Barcellona), alla paziente ricucitura socio-economica delle sue periferie, anche puntando con decisione sul terzo settore, su nuovi poli di aggregazione, specie giovanile; dal rafforzamento del suo impareggiabile patrimonio storico-artistico per farne un volano di decine di migliaia di posti di lavoro nell’economia della cultura e della conoscenza, alla riconversione verde, circolare e imprenditoriale dei suoi rifiuti.

Al potenziamento del suo sistema dell’istruzione superiore, sul quale proprio su queste colonne ieri è stata avanzata una interessante proposta (la Sapienza ha perso un quinto dei suoi studenti negli ultimi dieci anni) per farne un polo di dimensione internazionale per gli studenti e un centro di ricerca, sperimentazione e diffusione di tecnologie per le nuove imprese, romane e italiane.


Questo non si ottiene disegnando un Piano solo per linee settoriali. Si può costruire solo quando le missioni si incrociano con i luoghi; quando l’attuazione e la cura dei progetti è affidata – come non può non essere per tanti versi – agli amministratori cittadini; quando la loro somma disegna un quadro più coerente; quando ciascun progetto ha tempi e obiettivi precisi, verificabili dai cittadini nella loro vita quotidiana. E così crea progressivamente fiducia in loro, che vedono la propria qualità di vita incominciare a migliorare, e cambia le aspettative degli imprenditori, inducendoli a mettersi in gioco, ad investire. 


Un Piano per la Nuova Generazione è anche una grande operazione di ricostruzione di un sentimento e di una speranza nazionale: per questo è essenziale che la Capitale torni ad essere una delle grandi immagini positive del Paese, in cui tornare ad avere il piacere di rispecchiarci tutti insieme.


@profgviesti 

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