Riforma Giustizia, per l’abuso d’ufficio 80% di archiviazioni. Appelli da dimezzare

Inappellabili le assoluzioni per reati minori: sono la metà delle sentenze

Riforma Giustizia, per l’abuso d’ufficio 80% di archiviazioni. Appelli da dimezzare
di Claudia Guasco
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Domenica 18 Giugno 2023, 00:19 - Ultimo aggiornamento: 19 Giugno, 09:15

In Italia, nel 2021, il 42,6% dei processi di primo grado si è concluso con un’assoluzione, numero pari a quello delle condanne (46,3%). Uno degli otto articoli del disegno di legge sulla riforma della giustizia approvato dal consiglio dei Ministri ridisegna il potere d’impugnazione del pubblico ministero contro le assoluzioni e alla luce del fatto che la maggior parte di queste sentenze riguarda i cosiddetti reati minori ciò comporterebbe un taglio di oltre la metà dei ricorsi. Un alleggerimento per un sistema giudiziario con più di un milione di fascicoli aperti ogni anno e altrettanti procedimenti approdati in Tribunale.

In un’ottica di snellimento rientra anche l’abrogazione dell’abuso d’ufficio. Per questo reato i dati del 2021 registrano 27 condanne e 35 patteggiamenti su 5.418 procedimenti. Infine le intercettazioni: non devono essere riportate le conversazioni e i dati relativi a soggetti non coinvolti dalle indagini, se non considerati rilevanti per il procedimento. Soprattutto perché le vittime di captazioni rivelatesi poi ingannevoli sono tante. Come Angelo Massaro, che ha trascorso 21 anni in carcere per una telefonata trascritta male e interpretata peggio.

 

Il report. Il reato che blocca la Pa: 27 condanne su 4500 fascicoli

La norma che suscita il dibattito più acceso, anche all’interno della magistratura, è l’abolizione del reato di abuso d’ufficio. Il decreto ne prevede la cancellazione, senza sfumature intermedie, considerando la sproporzione tra il numero di indagini aperte e i processi che finiscono con una condanna. Nel 2021 sono stati aperti 5.418 fascicoli, ma già al filtro dell’udienza preliminare si è abbattuta la ghigliottina: 4.465 sono finiti nella stanza del gup o sono successivamente evaporati per «cause diverse dalla prescrizione», come precisa il Ministero della giustizia. Alla fine dell’anno le condanne sono state 27, 9 davanti al gip e 18 in dibattimento, 35 i patteggiamenti. Non si tratta di un’annata eccezionale, perché guardando ai dati storici è sempre più o meno così: nel 2017, secondo un dossier presentato in Parlamento, in Italia sono stati avviati 6.500 procedimenti per abuso d’ufficio, le condanne definitive sono state 57.

Cifre risibili, ma per sindaci, presidenti di Regione e anche semplici funzionari locali il rischio di incorrere in questo reato ha spesso un effetto paralizzante nella gestione della pubblica amministrazione.

La norma infatti lascia spazio ad ampie interpretazioni e le pene vanno da uno a quattro anni di reclusione. Il record probabilmente spetta all’ex primo cittadino di Parma Federico Pizzarotti: «Sono stato sottoposto a sette indagini e mai condannato», ricorda. Per il sindaco di Torino Stefano Lo Russo «un reato che vede solo il 2% delle condanne mentre nel 98% dei casi si parla di proscioglimento o assoluzione perché il fatto non sussiste, chiaramente è mal definito». E purtroppo, rimarca il presidente del Consiglio nazionale Anci Enzo Bianco, «la reale condanna per chi incappa nell’abuso d’ufficio è quella di finire sulle pagine dei giornali, dove nulla o molto poco rimane quando l’amministratore viene scagionato».

Le procedure. Stop ai ricorsi, la norma per alleggerire le Procure

La riforma della disciplina dei casi di appello del pubblico ministero, che attualmente consente d’impugnare tutte le sentenze di assoluzione, stabilisce che l’organo di accusa non può presentare ricorso per i reati oggetto di citazione diretta. Si tratta dei cosiddetti reati minori, ovvero contravvenzioni, delitti puniti con la pena della reclusione non superiore a un massimo di quattro anni o con la multa, sola o congiunta alla pena detentiva. Nel 2021 il 64% dei procedimenti delle Procure di tutta Italia, dopo la fine delle indagini preliminari, non è arrivato a giudizio ed è stato archiviato, se si analizzano i fascicoli che sfociano in dibattimento la quota di assoluzioni è elevata in particolare per i reati più diffusi, appunto i cosiddetti minori, e raggiunge il 54,8%.

Sulla base di questi numeri, con la riforma della giustizia la pubblica accusa non potrebbe presentare ricorso per più della metà delle sentenze di assoluzione di primo grado. Per le Corti d’Appello ciò comporterebbe un alleggerimento. Nella sua relazione in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2023, il presidente Giuseppe Meliadò ha sottolineato come presso la Corte d’Appello di Roma ci siano 50.400 processi penali e 30.000 processi civili e del lavoro. Tra il 2003 e il 2017 gli uffici giudiziari della Capitale hanno registrato un sostanziale raddoppio delle pendenze in secondo grado (aumentate del 112%, a fronte di un incremento del 6% registrato in primo grado) e l’ampliamento dei tempi di definizione dei giudizi: 901 giorni in appello, a fronte dei 534 giorni dei giudizi monocratici. Per quando riguarda l’indice di stabilità delle sentenze di primo grado, cioè quante pronunce siano state modificate in secondo grado in modo parziale o con un ribaltamento dell’esito iniziale, la Corte d’Appello di Milano rileva che nell’anno giudiziario 2021-2022 è stato riformato il 38% delle sentenze appellate, dato che non si discosta dall’anno precedente. 

Le falle nelle intercettazioni. Dietro le condanne ingiuste difetti di pronuncia e errori

Le intercettazioni, stabilisce il decreto, dovranno essere maneggiate con cura dai magistrati. Toccherà loro vigilare sui “brogliacci” e le conversazioni di soggetti non coinvolti dalle indagini, se considerate non rilevanti per il procedimento, non compariranno più. Le captazioni infatti possono diventare un marchio indelebile, come ha provato sulla sua pelle Michele Padovano, ex calciatore della Juventus e della Nazionale, assolto lo scorso gennaio dopo 17 anni tra inchiesta e processi. Accusato di traffico internazionale di stupefacenti, è stato incastrato da alcune telefonate a un amico d’infanzia al quale ha prestato dei soldi: parlavano di un cavallo, di terreni e di una gru, diventati, per l’accusa, sinonimi di stupefacenti.

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Un’interpretazione maldestra alla pari di quella costata 21 anni di cella ad Angelo Massaro, accusato di omicidio per colpa di una consonante. In un’intercettazione una “S” è diventata una “T”, la parola “muers”, che in dialetto tarantino significa oggetto ingombrante, si è trasformata in “muert”, cadavere. Così è diventato un assassino, peraltro in un delitto mai dimostrato poiché non è stato trovato il corpo, mancavano l’arma e il movente. Un errore giudiziario clamoroso e come lui, intercettazioni o meno, ne sono vittima quasi 980 persone ogni anno, con un esborso per lo Stato di 29 milioni tra indennizzi e risarcimenti. Francesco Raiola, militare, ha ottenuto 41 mila euro per 21 giorni di carcere e 120 ai domiciliari: parlava al telefono di televisori e di partite di calcio, gli investigatori che lo ascoltavano erano convinti si riferisse alla droga. Dopo quattro anni è stato assoluto e reintegrato nell’esercito. E sempre nelle maglie della fallace interpretazione delle captazioni è finito Nicola Marcozzi, pensionato, incensurato, presidente dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi sul lavoro per l’Abruzzo: era accusato far parte di una banda che trafficava carte di credito clonate, è stato arrestato e infine assolto con formula piena.

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