Luc Besson, il regista di Dogman: «Una storia di dolore e di amore. I cani sono l’antidoto all’infelicità umana»

«Volevo raccontare una storia di dolore e di amore. Non è stato facile girare con tutti quegli animali sul set»

Luc Besson, il regista di Dogman: «Una storia di dolore e di amore. I cani sono l’antidoto all’infelicità umana»
di Gloria Satta
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Venerdì 1 Settembre 2023, 00:13 - Ultimo aggiornamento: 08:03

Un’ovazione accoglie Luc Besson e Caleb Landry Jones all’incontro con i giornalisti per Dogman, il nuovo film del regista francese (nei cinema il 5 ottobre) che, presentato in concorso e applaudito anche all’anteprima stampa (con un paio di fischi). Besson, 64 anni, torna in pista a 4 anni dal flop di Anna e dopo essere stato definitivamente scagionato in Cassazione dall’accusa di stupro che aveva funestato l’ultimo quinquennio della sua vita. Ma non la sua carriera: «Mi sono concentrato sul lavoro», ha spiegato a Variety, «mi considero un artista e la cosa più importante è scrivere buone sceneggiature. Proprio come Dogman». Il film, a cavallo tra tenerezza e horror, è una favola nera centrata sul talento di Landry Jones, premiato a Cannes 2021 per Nitram e ora in lizza per la Coppa Volpi. L’attore americano, 33, interpreta un emarginato, una specie di folle Joker (a qualcuno ricorda addirittura il protagonista dell’omonimo Dogman di Garrone) che vive protetto da una muta di cani dopo aver passato un’infanzia da incubo chiuso in gabbia con dei mastini dal padre violento. In sedia a rotelle per gli abusi subiti, canta tra le drag queen travestito da Marilyn, Edith Piaf e Marlene. Ai suoi adorati animali legge Shakespeare e li spedisce a rubare gioielli nelle ville dei ricchi.

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Ma come le è venuta l’idea?

«La scintilla me l’ha data un articolo di cronaca su una famiglia francese che aveva gettato il figlio di 5 anni in una gabbia.

Mi sono chiesto: cosa succederà al bambino? Che uomo diventerà? Dopo un’esperienza del genere non hai molta scelta: diventi o un terrorista o Madre Teresa di Calcutta».

Ci ha messo tanto a scrivere la sceneggiatura?

«Da quando ho 16 anni mi alzo alle 5 di mattina e inizio a lavorare. È il mio modo di sfuggire al mondo. Questa volta ho provato a immaginare la vita del protagonista. E ho pensato che gli esseri umani sono accomunati dal dolore, l’unico antidoto è l’amore. Sono d’accordo con Lamartine: ovunque ci sia un infelice, Dio invia un cane».

È stato difficile lavorare con tanti animali?

«Si, e per metterli tutti d’accordo abbiamo impiegato tre mesi. Sul set c’erano tre cani star che, tra una ripresa e l’altra, rimanevano ciascuno nel proprio camper con il rispettivo addestratore senza dar confidenza a nessuno, più una cinquantina di altri animali con 25 trainer che urlavano gli ordini in coro e, una volta partita la cinepresa, andavano a nascondersi. Una confusione non da poco, ma ci siamo abituati».

Perché ha scelto Caleb come protagonista?

«Senza di lui, che dà perfettamente corpo alla tristezza, alla forza e al desiderio, il film sarebbe stato diverso. La prima domanda che gli ho fatto, davanti a un tè, è stata se gli piacessero gli animali. Ha risposto di sì e me lo sono quindi portato in una spa dove lui ha perso 20 chili e io 10. E un ortopedico gli ha insegnato a zoppicare nel modo corretto».

Quali sono stati i suoi riferimenti cinematografici?

«Non ne ho mai avuti. Sono cresciuto senza tv e da giovane ho visto pochissimi film. Sono sempre stato stimolato dalla vita, dalla natura, dalle stagioni, non dal lavoro degli altri. I film del passato mi affascinano, ma non mi ispirano».

La prima lezione che ha imparato sul set?

«Ho iniziato a 17 anni e ho capito subito che per fare un bel film ci vogliono 2 anni, ma per rovinarlo bastano i due minuti di una scena sbagliata. I miei primi lavori erano tremendi. Non esiste un trucco per sfondare, ci vuole un lungo lavoro».

E cosa serve per salvarsi?

«L’amore e l’arte, non certo i soldi».

Il suoi film, da “Le Grand Bleu” a “Nikita” e “Il quinto elemento” sono stati dei successi internazionali. Di quale va più fiero?

«Sono orgoglioso della mia libertà. Quando mi metto a scrivere un film, so che nessuno potrà fermarmi».

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