Omicidio Moretto, D'Arienzo nega: «Non ho ucciso "Pipistrello, non fu lui ad ammazzare mio figlio»

Omicidio Moretto, D'Arienzo nega: «Non ho ucciso "Pipistrello, non fu lui ad ammazzare mio figlio»
di Laura Pesino
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Sabato 17 Dicembre 2022, 11:42 - Ultimo aggiornamento: 20 Aprile, 13:35

E' stato interrogato per un'ora e mezza e per un'ora e mezza ha parlato, rispondendo alle domande del giudice per le indagini preliminari Giorgia Castriota alla presenza anche del pubblico ministero che ha coordinato l'inchiesta, Martina Taglione. Ermanno D'Arienzo, 64 anni, nega ogni coinvolgimento nell'omicidio del 50enne Fabrizio Moretto, per tutti "Pipistrello". Con il suo pesante passato negli ambienti criminali pontini, precedenti per rapina ed estorsione, droga e armi, è finito agli arresti due giorni fa perché ritenuto l'esecutore del delitto di Bella Farnia: un unico colpo esploso la sera del 21 dicembre 2020 per vendicare la morte del figlio Erik. Tutte le piste hanno portato a lui, a questa reazione che in molti temevano e si aspettavano. Ma D'Arienzo fornisce invece un'altra spiegazione.


«Io non c'entro - dice al giudice perché sono certo che mio figlio non sia stato ammazzato da Moretto». Nei mesi successivi al primo delitto, maturato nell'ambito di un debito per droga e avvenuto il 30 agosto dello stesso anno, padre e madre cominciano però a tenere Moretto sotto stretto controllo. Lo seguono e lo spiano nel bar, si informano sulle sue frequentazioni, controllano perfino cosa pubblica su Facebook e si appostano vicino alla sua abitazione scoprendo che la distanza che li separa da casa loro è poco più di un chilometro e mezzo attraversando i campi.
 


Ma anche per questo l'arrestato ha una spiegazione: lo seguiva nella speranza di scoprire qualcosa, di capire chi avesse pestato Erik fino ad ucciderlo.

Più volte insomma ribadisce di essere sicuro che l'assassino del figlio non fosse Pipistrello, tentando di smontare la ricostruzione dei carabinieri e l'ipotesi accusatoria di una vendetta. Eppure, nelle carte dell'ordinanza firmata dal Gip Castriota emerge che lo stesso Fabrizio Moretto si sentiva stretto nella morsa dei D'Arienzo, minacciato dal fatto che Ermanno avesse attivato i suoi riferimenti delinquenziali per compiere la sua missione, tanto da segnalare ai carabinieri presunte minacce arrivate da voci di popolo. Altre persone sospettano la reazione di D'Arienzo e fra queste c'è anche Costantino Di Silvio, detto Patatone, che dal carcere di Rebibbia fa recapitare all'autorità giudiziaria alcune missive: «Quando non si risolve un omicidio di questi (dice riferito alla morte di Erik) la strada ti porta a commettere altri delitti».


Sottolineando di parlare a titolo personale per non passare da spia, aggiunge: «Credo che Fabrizio Moretto che ha fatto tutta la storia dell'incidente stradale, è quello che ha tradito il figlio di Ermanno, è quello che doveva pagare. E andando a casa ha dato indirettamente una conferma a Ermanno che era stato lui. Ermanno non ci ha creduto. Perché commettere un pestaggio e poi andare a casa di Topolino? Moretto probabilmente ha sottovalutato e ci ha rimesso la vita».
Poi, nell'interpretazione del caso, una chiosa finale con un richiamo implicito al padre, ucciso in un attentato nel 2003: «Ermanno D'Arienzo e i suoi amici appartengono alla vecchia guardia, dove c'era rispetto e c'erano delle regole da rispettare, per le quali la morte di un figlio ha un peso e va vendicata, senza alcun pensiero per la magistratura e la polizia. Anche io sono uno vecchio stampo e la penso come mio padre e come mio nonno, si tratta di un codice di comportamento tra persone d'onore». Laura Pesino
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