Non solo chioschi al lido, affari anche con la droga

Non solo chioschi al lido, affari anche con la droga
di Marco Cusumano
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Giovedì 1 Febbraio 2024, 12:25 - Ultimo aggiornamento: 17:33

Non solo "Topo beach" e fiumi di denaro grazie al chiosco al mare, ma anche affari d'oro con la vendita di droga. La Dda di Roma accusa la famiglia Zof, e alcuni fedeli complici, di aver gestito lo spaccio facendo leva anche sulla forza intimidatoria legata all'appartenenza di Alessandro Zof al clan criminale di Salvatore e Angelo Travali.

Cognomi che a Latina facevano e fanno paura, specialmente quando qualcuno si trova in debito per il pagamento della droga. Come avvenne nel 2018 a un "cliente" di Alessandro Zof che da lui acquistò circa 600 euro di cocaina. Zof si presentò qualche tempo dopo in un ristorante al lido di Latina, dove l'uomo lavorava, chiedendo la somma di 3.000 euro, arbitrariamente aumentata rispetto al debito iniziale di 600 per l'acquisto della droga. Anche in questo caso, secondo l'accusa, Zof ha sfruttato la forza di intimidazione del suo nome legato al clan Travali, da qui la contestazione dell'aggravante del metodo mafioso. Anche nei mesi successivi si verificarono episodi di minacce e aggressioni, con il coinvolgimento di altri indagati, sempre nei confronti di chi era in debito per l'acquisto di droga.
Le estorsioni e le minacce riguardano anche altri episodi, molto diversi tra loro, ma tutti accomunati dalla volontà di impaurire le vittime utilizzando con enfasi i nomi delle famiglie di appartenenza o quelle "vicine" ai protagonisti delle azioni intimidatorie. Come quando Maurizio e Alessandro Zof fecero riparare e riverniciare un pick-up senza pagare assolutamente nulla al carrozziere, evidentemente impaurito dall'atteggiamento di padre e figlio, oltre che dal loro cognome.

LA DROGA

Nell'indagine della Dda, oltre alla famiglia Zof, vengono individuati altri personaggi coinvolti in una serie di attività di spaccio. Tra i destinatari delle misure cautelari ci sono anche Christian Ziroli e Ahmed Jeguirim accusati di aver ceduto droga anche a ragazzi minorenni. La Procura ritiene che il gruppo abbia tentato di coinvolgere nelle attività di spaccio anche alcuni ragazzi giovanissimi, concentrando le proprie attività nei quartieri Q4 e Q5, le aree più popolate di Latina e storicamente gestite dalla famiglia Travali per quanto riguarda le attività di spaccio di droga.
Gravissimo, in questo contesto, un episodio di sequestro di persona avvenuto ai danni di un ragazzo giovanissimo che aveva maturato un piccolo debito di droga acquistando hashish ogni settimana, circa 10 euro, da Jeguirim che si faceva chiamare "Orso" nell'ambiente dello spaccio. Il ragazzo era stato avvicinato davanti alla chiesa di "San Luca" e poi costretto a salire su un terrazzo condominiale in un palazzo popolare in viale Nervi. Qui iniziò il suo calvario: secondo la ricostruzione fu picchiato per circa un'ora e minacciato con un coltello al fine di attivare un finanziamento per un circa di circa 20.000 euro. Dopo essere stato trattenuto per tutto il pomeriggio, il ragazzo era stato poi fatto scendere per essere rinchiuso in una cantina nel palazzo accanto, ma durante il tragitto riuscì a fuggire. Dopo quel grave episodio il ragazzo evitò di frequentare una serie di luoghi dove abitualmente si incontravano persone di cui aveva paura.
Gli investigatori hanno ricostruito i legami e i contatti tra diversi giovani, soprattutto residenti nella zona Q4 e Q5. L'ipotesi è che il gruppo di spacciatori volesse creare una rete di pusher minorenni in grado di vendere la droga a nuovi acquirenti. I luoghi dove avvenivano gli incontri per lo scambio di stupefacente erano soprattutto periferici, in particolare l'area del centro commerciale Lestrella ma anche in centro, sotto il porticato dell'Intendenza di Finanza in piazza del Popolo e in piazza del Quadrato.

CHIOSCHI

Il filone principale dell'indagine della Squadra Mobile di Latina, guidata dal vicequestore Mattia Falso, riguarda invece le minacce della famiglia Zof per evitare l'assegnazione del primo chiosco ai legittimi vincitori del bando. «Il Topo non si tocca... era di mio nonno e di mio padre, sarà mio e di mio fratello» scriveva Alessandro Zof su Facebook, parole ora agli atti dell'inchiesta della Dda di Roma. Le accuse, a vario titolo, vanno dalla turbata libertà degli incanti ed estorsione aggravati dal metodo mafioso, alla detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, fino al trasferimento fraudolento di valori.
 

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