Roma, scontro sui conti. Raggi: «Niente tagli, i bonus restano». Ma il Tesoro vuole garanzie

Roma, scontro sui conti. Raggi: «Niente tagli, i bonus restano». Ma il Tesoro vuole garanzie
di Simone Canettieri e Fabio Rossi
3 Minuti di Lettura
Giovedì 3 Agosto 2017, 01:32 - Ultimo aggiornamento: 4 Agosto, 08:01

Il Campidoglio è pronto ad andare allo scontro con il Tesoro, che potrebbe arrivare fino alla Corte dei conti, con la possibilità di usare i sindacati e i 23 mila dipendenti comunali come arma di pressione, per sminare le censure della Ragioneria generale dello Stato. In ballo ci sono 340 milioni di euro di arretrati dei salari accessori, che lanciano un’ombra inquietante sulle buste paga dei 23 mila dipendenti del Comune di Roma.

Quindi la chiusura del piano triennale di riequilibrio del deficit capitolino, da cui dipendono i 110 milioni annui di contributi extra del Governo alla Capitale. Insomma, si gioca la tenuta stessa della finanza del Campidoglio, già oberata da un debito storico di oltre 12 miliardi, affidato nel 2008 alla gestione commissariale, e da un nuovo rosso da 1,2 miliardi accumulato negli ultimi nove anni. Dopo la sonora bocciatura della Ragioneria (la lettera è attesa a Palazzo Senatorio tra oggi e domani), la partita sui conti romani si giocherà sui codicilli, nel tavolo di confronto che si aprirà a settembre al Mef.

I BONUS
Il tema più urgente è quello del nuovo contratto decentrato dei dipendenti comunali, che entrerà a pieno regime proprio a settembre. Il Campidoglio è intenzionato a tirare dritto, nonostante la Ragioneria abbia dichiarato inaccettabile il piano presentato dalla giunta di Virginia Raggi per il recupero delle somme illegittimamente erogate come salario accessorio dal 2008 al 2012. La sindaca non può politicamente permettersi di rimangiarsi un accordo ottenuto con tanta fatica e intaccare il reddito dei lavoratori, con i sindacati già pronti alla mobilitazione ed, eventualmente, allo sciopero: «Non permetteremo a nessuno che lo scontro politico che si sta consumando abbia come terreno di sfida il salario dei dipendenti capitolini», attacca il coordinatore della Rsu di Roma Capitale, Giancarlo Cosentino.

LE IPOTESI
La carta da giocarsi è un parere rilasciato tre anni fa dell’Avvocatura dello Stato, ai tempi dell’amministrazione di Ignazio Marino e delle prime trattative sul salario accessorio, che conferma come vadano rimborsati solo i pagamenti non dovuti successivi al 3 ottobre 2010, quando l’approvazione della riforma di Roma Capitale ha cambiato denominazione (e quindi forma istituzionale) al vecchio Comune di Roma. Se questo principio dovesse passare, la cifra da recuperare scenderebbe da 340 a 80 milioni, migliorando di molto la situazione.

Ma qui le strade si dividono in ogni caso: i tecnici del Mef proporranno di spalmare la restituzione dei soldi su più anni (da tre a sei), sottraendoli dal fondo per il salario accessorio. L’amministrazione capitolina, in ogni caso, non è intenzionata ad applicare detrazioni dalle buste paga: si cercheranno nuove voci da tagliare, nelle voci di bilancio che riguardano il personale. In caso di mancato accordo, la Ragioneria potrebbe girare il caso alla Corte dei conti, che valuterebbe un eventuale danno erariale a carico del Comune.

IL RIEQUILIBRIO
Partita ancor più delicata è quella sul piano di riequilibrio del deficit capitolino, previsto dal cosiddetto decreto Salva Roma del 2014. A Palazzo Senatorio sono sicuri di aver le carte in regola per dimostrare che, a fine 2016, sono stati completati i risparmi strutturali da 440 milioni, sulla spesa corrente, previsti dall’accordo con Palazzo Chigi. Molto più difficile sarà convincere i tecnici del Mef del buon lavoro svolto sulle partecipate: il piano prevedeva un massiccio sfoltimento dell’arcipelago delle aziende capitoline, con la cessione o liquidazione di quelle che non forniscono servizi pubblici per i cittadini: un processo che, pur avviato dall’assessore Massimo Colomban, è ancora molto lontano dalla conclusione. La sindaca chiederà un po’ più di tempo, e margini di manovra più ampi sulle aziende da chiudere, per evitare lo stop al contributo di 110 milioni annui per Roma Capitale.

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