Caso Regeni, il Cairo invita i pm italiani

Caso Regeni, il Cairo invita i pm italiani
di Valentina Errante
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Venerdì 11 Marzo 2016, 00:32
È l’ultimo tentativo di mediazione. Sull’affaire Regeni l'Egitto di Al Sisi apre, almeno formalmente. L’invito, fuori  dalle normali procedure, ai magistrati italiani è arrivato dopo più di un mese, trenta giorni di tensione, durante i quali quasi nessun elemento di indagine è stato fornito ai nostri investigatori inviati al Cairo. Ieri, mentre la plenaria del Parlamento europeo approvava all'unanimità una risoluzione firmata da decine di parlamentari di tutti i gruppi politici (tranne l'Enf di Le Pen e Salvini) per «condannare con forza la tortura e l'assassinio» del ricercatore italiano e «chiedere» al Cairo di «fornire alle autorità italiane tutti i documenti e le informazioni necessarie», l'ambasciatore egiziano a Roma, Amr Helmy, si presentava nell'ufficio del procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, per invitare al Cairo gli inquirenti a nome del procuratore generale della Repubblica Araba d'Egitto Nabil Ahmed Sadek. La trasferta che ha avuto il placet del guardasigilli Andrea Orlando, comincerà lunedì, quando partiranno Pignatone e il pm Sergio Colaiocco, titolare delle indagini. Dall’esito della nuova, annunciata, collaborazione dipenderanno i rapporti tra Italia ed Egitto. La posta è alta, come le commesse a sei zeri che interessano entrambi i paesi.
 
LA TRASFERTA
L’obiettivo della trasferta lo spiega lo stesso Pignatone in una nota: «Individuare ulteriori modalità di collaborazione tra le due autorità giudiziarie nell'interesse dei rispettivi Paesi». È quasi un auspicio, di certo l’esito di lunghe trattative diplomatiche, in un contesto che ha visto l’Egitto protagonista in un film di depistaggio. Dal primo tentativo, con la notizia diffusa nelle ore immediatamente successive al ritrovamento del corpo («Giulio Regeni è morto per un incidente automobilistico»), all’ultimo: l’intervista rilasciata all’agenzia Nova dal procuratore generale di Giza <MC>che ribadiva di voler condurre da solo le indagini, pur collaborando con gli investigatori italiani - sosteneva che Regeni, il giorno della sua scomparsa, fosse andato alle manifestazioni di piazza Tahrir. Circostanza smentita dai pochi elementi a disposizione del pm Colaiocco.

LA TENSIONE
«Questa mattina - si legge nella nota di Pignatone - il procuratore della Repubblica di Roma ha ricevuto l'Ambasciatore della Repubblica Araba d'Egitto in Italia Amr Helmy. L'Ambasciatore ha invitato a nome del Procuratore Generale della Repubblica Araba d'Egitto, Nabil Ahmed Sadek, i magistrati inquirenti a un incontro a Il Cairo al fine di informarli degli ultimi sviluppi investigativi relativi alla morte di Giulio Regeni nonché al fine di individuare ulteriori modalità di collaborazione tra le due autorità giudiziarie nell'interesse dei rispettivi Paesi». Di fatto ad oggi soltanto una minima parte degli elementi di indagine in mano agli investigatori egiziani è stata inviata a Roma. Eppure la richiesta, in ultimo formalizzata dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, era stata più volte rinnovata: per via diplomatica, attraverso una rogatoria, mediante l’Interpol e direttamente dal pubblico ministero al procuratore egiziano.

L’INDAGINE
Mancano ancora i verbali di alcune testimonianze, i dati delle celle telefoniche e i video delle telecamere di sorveglianza di metropolitane e negozi del quartiere nel quale Regeni viveva e dal quale è sparito il 25 gennaio scorso. L’uccisione del giovane ricercatore, scomparso a Il Cairo in circostanze misteriose il 25 gennaio scorso e trovato morto dopo otto giorni, ha scosso i rapporti tra Roma e l’Egitto. E ha irritato la procura di Roma per la scarsa collaborazione. La pista principale rimane quella dell'omicidio politico. Per i pm romani, Regeni sarebbe stato ucciso da «professionisti della tortura» e sottoposto a violenze indicibili per oltre sette giorni. Ma ancora due giorni fa il procuratore generale di Giza sosteneva che fosse morto il 25 gennaio, subito dopo la sua scomparsa.
 
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