All’Accademia d’Egitto un italiano fa rivivere la Sama’Khana dei dervisci ruotanti del Cairo

All’Accademia d’Egitto un italiano fa rivivere la Sama’Khana dei dervisci ruotanti del Cairo
di Elena Panarella e Rossella Fabiani
9 Minuti di Lettura
Domenica 11 Novembre 2018, 12:27

L’Islam è plurale e una prova è in una piccola stradina nella Cairo mamelucca, in Egitto. A Shari Es-Suyufiyya, vicino alla moschea di Sultan Hassan ai piedi della Cittadella nel quartiere di Hilmiyah, un italiano in diverse campagne di scavo e di recupero ha riportato alla luce uno dei più vasti complessi monumentali della capitale cairota che comprende il palazzo Qusun-Yashbak-Aqbardi, la madrasa (la scuola coranica) di Sunqur Sa’di, il mausoleo di Hasan Sadaqa, la Sama’Khana (il teatro dove i dervisci mevlevi eseguivano la loro rituale danza circolare) e la Tekeyya (il convento). Cinque edifici che raccontano la diversità del credo musulmano. 

Autore del recupero di questo tesoro sommerso nel mare di polvere e di macerie del Cairo, è il professore Giuseppe Fanfoni, architetto e restauratore, che, come a volte succede nelle imprese straordinarie, ha lavorato spesso nell’indifferenza di chi – soprattutto in patria – dovrebbe sostenere e finanziare simili progetti. I primati di questa impresa sono tanti. Nel 1976 ha creato il primo cantiere-scuola italo-egiziano per il restauro e l’archeologia dove si è formata la crema dei restauratori egiziani dagli anni ’80 fino ad oggi e dove giovani studiosi, artigiani, tecnici e professionisti egiziani hanno migliorato le loro capacità specializzandosi in diversi settori, quali gli stucchi, la pietra, le pitture, l’archeologia e l’architettura, tanto che allo studioso italiano è stata concessa un’onorificenza dall’Unione degli archeologi arabi. E negli ambienti culturali si sussurra che il nome del professor Giuseppe Fanfoni sia stato proposto per il Nobel. Ora tutta questa avventura, che dura da oltre 40 anni, e che riflette il pensiero filosofico del professor Fanfoni sarà presentata in occasione della conferenza “L’architettura della Sama’khana del Cairo. Design e Funzione. Un’architettura interculturale e di ispirazione interreligiosa, all’origine del rito dei Dervisci Mevlevi”, che il professore terrà giovedì 15 novembre all’Accademia d’Egitto alle ore 19.

Voluta dalla direttrice dell’Accademia, la professoressa Gihane Zaki, questo incontro documenta nei fatti come «nonostante i venti contrari», dice Gihane Zaki è possibile costruire ponti pace e di collaborazione «con uno spirito di servizio», sottolinea il professor Fanfoni. E servizio è la parola che ha contraddistinto l’intera vita di Giuseppe Fanfoni. Non senza problemi, fatiche e sforzi da titani, ma sempre pieno di fiducia in quella parola a lui così cara: servizio. Servizio per la cultura, servizio per la conoscenza, per il dialogo, per l’uomo. E l’intero complesso che il professore ha riportato alla luce, e quello che ancora resta da fare, racconta nei fatti il suo impegno.

Giuseppe Fanfoni, che è professore di metodologie e tecniche di restauro, scopre nel 1976 – grazie alla segnalazione di Carla Maria Burri all’epoca direttrice appassionata e competente del locale Istituto italiano di cultura – in uno stato di totale degrado e di macerie, il teatro dei dervisci danzanti, la cosiddetta Sama’ khana (sala dell’ascolto dell’armonia del cosmo). La Sama’ khana faceva parte di uno dei più vasti complessi monumentali del Cairo – abbandonato dal 1945 – comprendente la Tekeyya (il Convento) dei dervisci Mevlevi, la Madrasa (la scuola coranica) di Sunqur Sa’adi, il mausoleo di Hasan Sadaqa e il Palazzo Yashbak. 
«I Mevlevi - spiega il professore Fanfoni - sono una confraternita fondata sugli insegnamenti del poeta mistico Jalal al Din Rumi vissuto in Turchia, a Konia nel XIII secolo. La sua spiritualità e produzione poetica richiama quella di Francesco d’Assisi che è vissuto nello stesso periodo, 1182 – 1226, o quella di Iacopone da Todi 1230 – 1306. E’ dunque una spiritualità mistica comune alle diverse religioni. Il Misticismo, infatti, si può considerare il cuore e l’origine stessa delle religioni. Il mistico è volto alla trascendenza, al sacro, nell’obiettivo di essere parte indistinta di esso. Ma l’aspirazione mistica, è stata sempre contrastata dalle organizzazioni religiose. I mistici infatti sono stati perseguitati e spesso soppressi con accanimento e in modi orribili come accade al mistico persiano Al-Hallaj che Louis Massignon definì “il martire mistico dell’Islam”. Alla base di questo scontro c’è la conflittualità tra l’impulso mistico originario delle religioni e il potere che, infine, gestisce la religiosità. Un potere che diventando politico contrasta la religiosità, che come via alla coscienza, è stata da sempre l’aspirazione intima dell’umanità».

L’area, oltre 10mila metri quadrati, si trova ai piedi della Cittadella lungo l’asse viario che dal Fustat (la zona più antica occupata dagli Arabi nel VII secolo) attraversa la città Fatimita oltrepassando le porte di Bab Zweilah e Bal el-Futuh. Tutta l’area separa la zona più rappresentativa dell’architettura Liberty del Cairo, Hilmiyya al-Gidida, da Hilmiyya al-Qadima. In questo complesso, il principe Sunqur Sa’adi dedito al sufismo e alle arti, aveva fatto costruire nel 1315 la madrasa con un “ribat” (un ospizio per orfane, vedove e anziane) e il mausoleo per la sua sepoltura. Sunqur Sa’di era un “nakib” (rappresentante) dei sultani mamelucchi e aveva fondato anche un villaggio con una moschea e un mulino che esistono ancora oggi a metà strada tra il Cairo e Alessandria. Il desiderio di Sunqur Sa’di di essere sepolto nel mausoleo che si era costruito non fu, tuttavia, realizzato per i contrasti sorti con il proprietario del grandioso palazzo confinante, l’emiro Qusun, molto vicino al sultano Ibn Qala’un. Così, la sua splendida tomba venne utilizzata a distanza di anni dallo Sheikh Nasr el-Din Sadaqa e da suo nipote Hasan Sadaqa dal quale il mausoleo prende il nome attuale. Questo mausoleo è caratterizzato da un minareto che presenta un “hilal” (l’ornamento superiore) di forma assolutamente inconsueta: un copricapo di derviscio invece della tipica mezzaluna. Dopo la conquista ottomana, il complesso monumentale venne donato nel 1607 dal principe Yusuf Sinan alla confraternita dei Dervisci Mevlevi; quando l’Ordine, legatosi all’élite ottomana e insignito del compito dell’investitura del Sultano, era al suo acme. 

I Mevlevi - al tempo - ricavarono dal complesso un insieme architettonico che descrive il loro modus vivendi: l’area cultuale con la Sama’khana e il Mausoleo, l’area della vita monastica nelle celle che circondano il giardino, l’area delle attività giornaliere in comune e l’area pubblica con gli ambienti di ricevimento dei pellegrini. Prima però di giungere a questo elevatissimo grado di influenza politica e religiosa, i Mevlevi avevano già alle spalle una lunga storia che comincia nel XIII secolo in Turchia, nella città di Konia, dove vive e muore il fondatore dell’Ordine, proveniente dal Khorasan (Afghanistan), Jalal al-Din Rumi, considerato fra i più grandi poeti mistici di tutti i tempi e paragonato a San Francesco per l’elevato grado di sensibilità e di ecumenismo (ai suoi funerali partecipò l’intera popolazione di Konia, non soltanto i musulmani, ma anche cristiani ed ebrei in riconoscimento dello spirito di massima tolleranza del maestro). 

Molte personalità di rilievo aderirono all’Ordine, favorendo l’espansione dei Dervisci nel mondo islamico fino alla penetrazione in Egitto. Ma la svolta importante arriva quando Rumi formalizza in modo definitivo il rito da lui creato in occasione della scomparsa dell’amico e maestro, Shamsi Tabriz, rito che renderà celebre nel mondo la peculiarità filosofico-religiosa dei dervisci: il Sama’, una complessa danza circolare in senso antiorario originata dall’ascolto del suono “cosmico” e inscritta in uno specifico spazio architettonico di cui proprio l’ottocentesca Sama’ khana del Cairo è l’ultima e più alta rappresentazione. «La Sama’ khana del Cairo - aggiunge il professore - documenta la massima espressione dei simbolismi geometrici e cosmologici che definiscono le funzioni e le proporzioni dello spazio architettonico in cui avviene la danza mistica dei Mevlevi, e fu l’ultima a rimanere in funzione anche dopo lo scioglimento delle confraternite dei Dervisci con l’editto di Ataturk del 1925». E che oggi - a dispetto dell’incuria del tempo e degli uomini - rivive grazie al lavoro paziente dello studioso italiano. Ma non soltanto la Sama’ khana è potuta tornare all’antico splendore. In diverse campagne di scavo e di recupero, il professor Fanfoni ha infatti restaurato anche la scuola coranica di Sunqur Sa’di, (la madrasa del XIV secolo), il mausoleo (la tomba di Hasan Sadaqa dello stesso periodo) e la Tekeyya ovvero il “convento” dei Dervisci Mevlevi che si è sviluppato a partire dal XVI secolo, nell’area intermedia fra i resti della madrasa di Sunqur’Sadi e il palazzo Yashbak adattando quanto era utilizzabile dei preesistenti edifici. Attraverso una complessa opera d’ingegneria e di alto artigianato, dopo interventi di scavo e di consolidamento sulle parti strutturali, gli antichi edifici sono stati restaurati con sistemi innovativi e, dove possibile, con l’impiego di materiali originali. 

L’opera più difficile è stata quella dello sbarramento dell’umidità che aggrediva i muri. Con un taglio alla loro base, grazie a una apposita lama, è stato possibile creare uno spazio dove inserire uno strato impermeabile facilmente sostituibile quando questo si deteriora nel tempo. Oggi rimane ancora da restaurare il palazzo Qusun-Yashbak-Aqbardi. L’area del palazzo è la più estesa e si è formata tra il XIV e il XVI secolo grazie ai tre proprietari che si sono succeduti: l’emiro Qusun, che era il coppiere del sultano Ibn Qala’un, l’emiro Yashbak e per ultimo l’emiro Aqbardi, ognuno dei quali ha ampliato la struttura originaria. L’enorme complesso documenta anche un importante continuum cronologico. Perché oltre agli edifici dell’Islam medioevale, il professore ha scoperto che la scuola coranica era stata costruita a sua volta sui resti di case antecedenti, risalenti al periodo dei Tulunidi, riportando alla luce quello che rimane di una “fiskiyat”, una fontana inclusa in una casa scomparsa, riconducibile appunto a Ibn Tulun, lo stesso costruttore della moschea più antica e bella del Cairo e del Nilometro nell’isola di Roda. Allora la città si chiamava Misr, prima di diventare El Khaira: oggi i resti della fontana fanno da base nascosta a una complessa struttura in acciaio realizzata da Fanfoni a supporto del pavimento ligneo del teatro dei Dervisci ricostruito secondo le antiche tecniche artigianali turche. Mentre a qualche metro di distanza si trova addirittura un piccolo pozzo dove sembra si abbeverasse il bestiame all’inizio stesso della storia del Cairo, quando, a Fustat, sorse nel 641 il primo nucleo della città, allora un semplice accampamento militare. 

Tra i riconoscimenti per il suo lavoro decennale, il professor Fanfoni annovera, la candidatura all’Aga Khan Award for Architecture (1989) e il riconoscimento in Turchia - dove nel 2007 si sono tenute le celebrazioni per gli 800 anni della nascita del poeta mistico Rumi, da parte del filosofo e astronomo Hossein Nasr, uno dei più importanti studiosi di mistica sufi - davanti a una platea di politici e intellettuali che «la più bella Sama’ Khana si trova al Cairo ed è stata recuperata e restaurata dal professor Giuseppe Fanfoni». 

Un caso di eccellenza che in Italia molti ignorano, ma che comincia a raccogliere i suoi meritati riconoscimenti.

Al Centro è stata infatti conferita una medaglia in bronzo del Senato della Repubblica per l’eccellente lavoro svolto. Come pure il professore ha ricevuto il premio “Rotondi 2012, Salvatore dell’arte nel mondo”. E’ stato anche firmato un importante accordo con il Ministero degli esteri egiziano che trasforma il Centro fondato da Fanfoni in una Ngo che permetterà al professore – oltre che di proseguire nello studio e nel recupero della vasta area monumentale portando avanti le attività di formazione del personale locale – di poter collaborare con i vari ministeri egiziani come pure con le istituzioni straniere per i futuri programmi di lavoro. 

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