Privatizzazioni, si punta su Eni e Cdp

Privatizzazioni, si punta su Eni e Cdp
di Andrea Bassi
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Lunedì 20 Marzo 2017, 00:15 - Ultimo aggiornamento: 15:27
ROMA Archiviata la tornata delle nomine pubbliche, il governo guarda avanti. A quali dovranno essere le indicazioni da inserire nel prossimo Documento di economia e finanza alla voce privatizzazioni. Il piano di quotare una seconda tranche di Poste e l’alta velocità delle Ferrovie di Stato, portato avanti dal Tesoro fino a qualche settimana fa, ormai è definitivamente tramontato. E il cambio al vertice di Poste italiane, con il passaggio delle consegne da Francesco Caio a Matteo Del Fante, è anche una conseguenza della decisione politica di fermare la vendita di un ulteriore 30% della società postale. Nel prossimo futuro è probabile che Poste, ma anche le Ferrovie, vengano richiamate ad un maggior ruolo “sociale”.

Dunque niente più ristrutturazione della rete e chiusure dei piccoli sportelli nei paesini e, se possibile e sostenibile, anche un ripensamento della consegna delle lettere a giorni alterni. Una nutrita pattuglia di parlamentari renziani, appoggiati anche dal ministro delle infrastrutture Graziano Delrio e dal sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, è già uscita allo scoperto nei giorni scorsi. Pier Carlo Padoan, però, difficilmente potrà presentarsi a mani vuote a Bruxelles. L’Italia rischia una procedura d’infrazione per l’alto debito pubblico che il governo ha sì stabilizzato, ma che non accenna a scendere. Alla Commissione europea il Tesoro ha promesso un piano di vendite da 8 miliardi di euro per quest’anno e il prossimo, dopo che nel 2016 le privatizzazioni si sono fermate solo allo 0,1%. Un segnale, insomma, andrà probabilmente dato. Per ora sul tavolo ci sono solo ipotesi «tecniche». Le decisioni politiche non sono ancora state prese. Ogni opzione, del resto, rischia di far salire sulle barricate il partito degli “statalisti”. La prima possibilità che si sta studiando, è quella di far comprare alla Cassa Depositi e Prestiti la quota di circa il 30% di Poste in mano al Tesoro. 

IL MECCANISMO
Un altro 35% è già nel portafoglio della Cdp perché è stato conferito, quindi senza pagamento, lo scorso anno direttamente da via XX settembre per rafforzare il capitale della Cassa. Ripetuto in questo modo il nuovo trasferimento non avrebbe nessun impatto sul debito. Bisognerebbe trovare il modo di far pagare a Cdp la nuova quota di Poste eventualmente ceduta dal Tesoro. Uno dei meccanismi ipotizzati sarebbe quello di far distribuire un dividendo straordinario a Poste, che poi sarebbe usato da Cdp per rilevare la quota del Tesoro. Più facile a dirsi che a farsi. Per ogni 100 euro di dividendo straordinario, solo 35 finirebbero nelle casse della Cdp. L’operazione, insomma, sembra complicata.

L’altra ipotesi sulla quale si starebbero concentrando alcune banche d’affari, è la cessione di una quota del 15% della stessa Cassa Depositi e Prestiti, a fronte del passaggio di tutte le azioni delle società quotate ancora in pancia al Tesoro alla stessa Cdp. Le azioni di nuova emissione sarebbero privilegiate nella distribuzione del dividendo. Un film, questo, in realtà già visto. Fino al 2009 le fondazioni bancarie, che erano azioniste di Cdp con il 30% (ora sono scese a circa il 18%), avevano una cedola garantita del 3% più l’inflazione. Si tratterebbe insomma, di tornare a quello schema.

Ma dovrebbero essere d’accordo anche le fondazioni stesse. Per statuto, nelle assemblee straordinarie, gli enti hanno diritto di veto. Per far entrare nuovi azionisti lo stesso statuto va cambiato, perché prevede che oltre al Tesoro, possano detenere le azioni solo le stesse fondazioni e le banche. I soldi di questa operazione, poi, non andrebbero direttamente al Tesoro, ma alla Cassa e, dunque, bisognerebbe trovare il modo di farli arrivare all’azionista. Un’altra ipotesi, più semplice, sarebbe invece quella di cedere a investitori qualificati la quota del 4% circa di Eni che il Tesoro possiede (il restante 25,7% è della Cassa). Una strada già seguita con Enel. In base ad una legge del 1994 le soceità pubbliche non sono scalabili se chi le vuol conquistare non arriva al 75% del capitale. Il Tesoro, dunque, le può controllare anche con il 25%. 
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