Carlo Verdone: «Ettore Scola ha insegnato a tutti noi l’importanza della commedia»

Carlo Verdone: «Ettore Scola ha insegnato a tutti noi l’importanza della commedia»
di Gloria Satta
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- Ultimo aggiornamento: 22 Gennaio, 12:21
Una vita da umorista, sceneggiatore, regista, sempre all’insegna della curiosità e dell’osservazione acuta della realtà italiana. Una vita da protagonista del cinema vissuta raccontando una porzione cruciale della nostra storia dal dopoguerra al presente, dalla ricostruzione al boom, dai soprusi del fascismo alle delusioni ideologiche degli anni Settanta, fino all’avidità dei Novanta.

Ettore Scola ha attraversato le generazioni e le mode utilizzando sempre il tono dolceamaro e disincantato della commedia. E oggi gli eroi della commedia piangono il maestro. «Dobbiamo tutto a Scola, ci ha insegnato il nostro mestiere», dice con sincerità Carlo Verdone.«Insieme con Pietro Germi ha firmato la vera, unica commedia italiana apprezzata anche all’estero».

Perché, secondo lei?
«Scola ha saputo raccontare con intelligenza e acume la realtà italiana cogliendone i vizi evidenti ma anche quelli nascosti. I suoi film sono spiritosi e ironici ma nello stesso tempo molto poetici, quindi universali, capaci di incantare qualunque platea».

Quale momento della nostra storia ha saputo cogliere con maggiore incisività, a suo avviso?
«Forse gli anni Sessanta e Settanta. Penso a film come Il commissario Pepe con Ugo Tognazzi, C’eravamo tanto amati (che considero, con Una giornata particolare, il suo capolavoro), Brutti sporchi e cattivi. E La terrazza, ovviamente, una prova esemplare di autoironia nei confronti dei tic della sinistra alla quale Ettore apparteneva».
 
Da regista, si è mai chiesto quale fosse il segreto di Scola?
«Un talento fuori dal comune, certo. Ma anche l’attenzione ai dettagli. Ha saputo cogliere i cambiamenti anche minimi della nostra storia, della mentalità e del costume senza esagerare o rischiare di andare sopra le righe. E, non va dimenticato, è stato un magnifico direttore di attori. Nei suoi film, anche l’ultimo generico è azzeccato, si comporta e parla credibilmente. Oggi che se n’è andato, ho il rimpianto di non essere mai stato diretto da lui, sarebbe stata una magnifica esperienza e avrei imparato molto».

Perché, secondo lei, C’eravamo tanto amati è un capolavoro?
«Perché ha il senso della misura. Mantiene miracolosamente l’equilibrio tra commedia e tragedia. E riserva molta attenzione alle psicologie dei personaggi, li approfondisce e li rispetta. E’ una commedia umana che arriva dritta al cuore e non ha mai perso la sua freschezza».

Aveva un rapporto personale con Scola?
«Sì, e anche se non ho mai avuto il suo stesso impegno politico, negli ultimi tempi il nostro legame si era intensificato. Qualche tempo fa gli avevo chiesto di entrare a far parte della Fondazione Sordi Giovani di cui sono il presidente».

Come mai aveva pensato a lui?
«Albertone era stato un suo caro amico con cui aveva diviso gli anni ruggenti in cui autori, registi, attori condividevano gli stessi entusiasmi creativi e la voglia di ricostruire l’Italia. Sordi era anche un pilastro del cinema di Scola che, da sceneggiatore, aveva scritto alcuni suoi film memorabili come Un americano a Roma e da regista l’aveva dirett
o in Riusciranno i nostri eroi..., La serata più bella della mia vita, Romanzo di un giovane povero. A Ettore sarebbe piaciuto entrare nella Fondazione Sordi, ma aveva troppi impegni e a malincuore dovette rifiutare».

Il regista di La famiglia aveva curiosità per il lavoro dei giovani?
«Certo, andava molto al cinema e amava scoprire i nuovi registi. Era sempre al corrente delle novità e amava commentarle. Mi ricordo che mi parlò ammirato di Andrea Segre che aveva diretto Io sono li».

E lei, Verdone, gli aveva mai mostrato i suoi film in anteprima?
«Sì, e Scola era prodigo di osservazioni puntuali. E quando fui io a vedere Che strano chiamarsi Federico, il suo omaggio a Fellini, gli mandai un sms pieno di ammirazione. Mi richiamò molto commosso».

Qual è l’eredità che lascia a un autore di commedie come lei?
«Ci ha insegnato a guardare la vita con ironia ma anche con una buona dose di misericordia. Significa che ha fatto leva sulle debolezze degli uomini ma ha anche rispettato la loro dignità. Molti di noi non esisterebbero senza la lezione di anime sensibili come Scola. Perciò lo ringrazio e lo ricorderò sempre. Era un grande regista, un maestro della commedia umana, un gigante della cultura del nostro Paese. Era un uomo perbene».
 
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