Muti: «E Veltroni mi chiese aiuto per risollevare l'Opera»

Muti: «E Veltroni mi chiese aiuto per risollevare l'Opera»
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Venerdì 7 Novembre 2014, 05:47
LA STORIA
Roma, settembre 2006. Al teatro Costanzi, serata di gala per celebrare l'apertura della prima Festa del Cinema: Riccardo Muti guida l'orchestra “Luigi Cherubini” in un concerto con le musiche per film di Nino Rota. Nella prima fila di platea, Sean Connery, padrino della kermesse. Ha raccontato il maestro: «Salutai la città, quella sera, con l'incipit del Carmen saeculare di Orazio: Possis nihil Urbe Roma / visere maius. Mai nulla tu potrai vedere più grande di Roma. Era l'inizio di un feeling destinato a diventare un rapporto continuativo. Walter Veltroni, allora sindaco della città, durante la cena mi chiese poi di dargli una mano a risollevare le sorti dell'Opera. Gli dissi che l'avrei fatto, con almeno un titolo all'anno».
E vennero il trionfale Otello verdiano e l'Ifigenia in Aulide di Gluck, un successo assoluto, che fin da allora fece gridare ai critici, nazionali e non, al “miracolo Opera di Roma”. Poi Veltroni si dimise dall'incarico di sindaco. Con Alemanno primo cittadino, Muti si riaffacciò all'Opera solo a fine 2010, con il Moïse et Pharaon di Rossini. Erano entrate in campo, per convincerlo, anche le perorazioni di Bruno Vespa, grande fan del maestro, nominato nel frattempo vicepresidente della Fondazione Lirica.
Vespa, autore di Italiani voltagabbana (è uscita ieri su questa pagina un'anticipazione della parte che il giornalista ha dedicato al grande direttore), sostiene nel suo nuovo libro di essersi stupito leggendo e sentendo dire che Muti sarebbe arrivato a Roma «chiamato da Valter Veltroni». Il maestro però conferma e circostanzia il fatto, senza peraltro negare le fasi successive, che lo hanno visto accettare il titolo di “direttore onorario” dell'Opera. «Sono sempre stato una persona seria: dissi fin da subito che dovendo rimanere lunghi periodi a Chicago, non avrei potuto assicurare a Roma la presenza continuativa che spetta a un direttore musicale. Avrei comunque diretto due titoli all'anno e presieduto ai concorsi per gli incarichi in orchestra, sempre al fine di ottimizzare la qualità dell'ensemble». «Confermo, dalla prima parola all'ultima, tutto quanto ha detto il maestro - perfeziona Walter Veltroni - le cose si sono svolte esattamente così».
Ancora. Muti ricorda bene di non aver mai parlato - nel libro sono riportate al proposito alcune sue frasi) di un'idiosincrasia per Roma, per l'Opera e per la sua orchestra. Al Costanzi, infatti, non aveva mai diretto.
IL NABUCCO
«L'intero Teatro - l'orchestra, il coro, le maestranze - lavora con entusiasmo, direi con passione. E il pubblico romano si è riappropriato senza riserve del «suo» Costanzi, manifestandomi ogni volta una stima e un affetto che mi commuovono», dichiarò Muti dopo il Nabucco. Un successo che fece il giro del mondo. Il direttore, concedendo il bis del Va', pensiero che il pubblico gli richiedeva con prolungati applausi e acclamazioni, affrontò dal podio, a viso aperto, le decisioni del governo di tagliare i fondi alla cultura: «Non vorrei - disse - che questo Nabucco fosse l'ultimo atto di una grande tradizione e di una cultura per le quali ci invidiano ovunque, cultura e tradizione che stanno declinando sotto il peso di tagli miopi, continui e inammissibili». L'allora ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, dopo quella perorazione fermò la scure, dichiarando di «aver capito». Gli spettatori del Costanzi avevano inondato il teatro di volantini bianchi. rossi e verdi con sopra scritto W Muti. Il video della pioggia tricolore, con gli spettatori in piedi a cantare il Va', pensiero assieme al coro, finì subito su YouTube e registrò il record assoluto dei clic per un anno intero.
Dopo nove titoli d'opera, alcuni concerti e trasferte all'estero (Salisburgo e il Giappone) che hanno portato l'Opera sul tetto del mondo, a due mesi e mezzo dall'inizio delle prove dell'Aida inaugurale (la “prima” era fissata per il prossimo 27 novembre), Muti ha rinunciato a lavorare a Roma.
LA SERENITÀ
«Ho spiegato che non trovavo in teatro la serenità che mi occorre per fare musica con la necessaria qualità. Non credo di aver fornito una piccola motivazione, bensì quella sostanziale per continuare un percorso che, del resto, aveva dato i suoi frutti. E non corrisponde al vero che abbandoni il mio impegno in Italia e per l'Italia: mi dedico ai giovani, quelli veri, che escono dal Conservatorio dopo anni e anni di studio e non possono sperare di trovare un lavoro».
Ha appena incantato Vienna, Muti, con la Chicago Symphony: quattro concerti al Musikverein per assistere ai quali la gente ha letteralmente fatto a botte. Ma tra pochi giorni sarà in tournée in Italia con i suoi Cherubini, il 1°dicembre a Firenze, quindi nel Sud, a Napoli, Foggia, Altamura, Bari, per chiudere il giro a Cremona.
PAROLE
Non può leggere sui giornali, il maestro, quanto sia «deprecabile» il suo abbandono dell'Italia. Né vuole ritrovarsi nel libro di Vespa come un «non decisionista» e tra i cosiddetti «voltagabbana». Il decisionismo mutiano è stato più volte dimostrato, soprattutto in situazioni scomode. Nel pieno splendore del suo lavoro all'Opera, quando il sindaco Alemanno subì un garbuglietto politico in Campidoglio, al momento di votare il conferimento al maestro della cittadinanza romana, lui non attese il secondo pronunciamento. Disse «grazie, no». Molti scommisero che sarebbe tornato sui suoi passi. Non lo fece. Nella sua biografia, accanto all'elenco delle onorificenze, delle lauree ad honorem e delle cittadinanze, arrivando alla voce “cittadinanza onoraria di Roma” si legge: rifiutata.
Rita Sala
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