Ucraina, segnali di de-escalation da Putin. Biden: «Ritiro delle truppe non verificato»

Scholz al Cremlino. E la Duma chiede che vengano riconosciute le Repubbliche filo-russe del Donbass

Ucraina, segnali di de-escalation da Putin. Biden: «Ritiro delle truppe non verificato»
di Anna Guaita
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Mercoledì 16 Febbraio 2022, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 14:37

NEW YORK - Ci sono speranze di una soluzione pacifica, ma la minaccia di guerra «rimane una forte possibilità». Il presidente Joe Biden ha parlato alla Nazione ieri, per comunicare cosa stia succedendo in Ucraina e che posizione abbiano gli Usa, spiegando di aver privilegiato la diplomazia e di aver offerto a Putin «idee concrete sul controllo degli armamenti, sulla stabilità e la trasparenza» per «negoziare accordi scritti», e di averlo rassicurato che la Nato e l’Ucraina «non sono una minaccia per la Russia». Anche Putin, prima del discorso del presidente americano, aveva detto di aver avviato «il ritiro di alcune truppe» ammonendo però gli occidentali «a non tirare troppo per le lunghe le trattative».

Biden, da parte sua, pur ribadendo più volte la continua apertura al dialogo, ha avvertito i russi che se attaccassero l’Ucraina «sarebbe una guerra di scelta, senza ragione».

A questo proposito Biden ha aggiunto: «Nessuno dimenticherebbe che avete scelto di causare distruzione e morti inutili». 

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I RISCHI PER TUTTI
Il presidente si è rivolto anche agli americani a cui ha spiegato che se davvero scoppiasse una guerra anche loro ne subirebbero le conseguenze per l’aumento dei costi dell’energia. Ma ha anche sostenuto: «Se non difendiamo la libertà dove è a rischio oggi, pagheremo un costo più alto nel futuro». Biden ha ricordato che la Nato non è mai stata così unita, grazie alla «condivisione di valori democratici». Ha anche rivelato che Putin ha schierato 150 mila soldati, un numero più alto di quello che è stato citato finora, e che «non si vede traccia» del ritiro di truppe che Putin aveva assicurato di aver ordinato. Toni misti insomma, fra l’invito alla diplomazia e l’ammonimento contro la guerra. Toni peraltro condivisi nelle capitali europee ieri. 

IL FRONTE EUROPEO
Il premier britannico Johnson ha salutato la disponibilità di Putin «a continuare la conversazione», ma ha anche aggiunto che non è incoraggiante continuare a vedere un aumento delle truppe schierate, perfino con la costruzione di ospedali da campo. Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha anche lui riconosciuto che le aperture diplomatiche «sono motivo di speranza», chiarendo che però non si vedeva ombra di ritiro di truppe dal confine ucraino. Semmai, i satelliti presentavano uno schieramento anche più possente di quel che si credesse. 

SUL CAMPO
I battaglioni tattici sono oramai 105, cioè la metà di tutti quelli che esistono nell’intera Russia. Oltre 500 aerei da combattimento sono ai confini o abbastanza vicino da poter intervenire in un batter d’occhio, mentre 60 elicotteri da combattimento sono di colpo comparsi in un aeroporto della Crimea, e le navi impegnate in manovre nel Mar Nero sono raddoppiate a un totale di 40. Non è un caso che Kiev ieri abbia chiesto assistenza alla Nato sotto forma di ospedali da campo, gru, macchinari per rimuovere le macerie. Peraltro, mentre nessuno ha potuto confermare il ritiro di truppe di cui Putin aveva parlato dopo aver incontrato il cancelliere tedesco Olaf Scholz ieri al Cremlino, è stato invece ben visibile l’attacco cibernetico condotto contro il sito del Ministero della Difesa di Kiev, e contro quello delle Forze Armate e della più grande banca del Paese.

 

GLI HACKER
Il governo ucraino non ha potuto dire con certezza se veniva dalla Russia, ma ha notato che in un simile attacco lo scorso gennaio era stato possibile trovare l’impronta russa. Lo scetticismo dell’Occidente davanti alle parole di Putin non significa che non si sia raccolta la sua apparente promessa di continuare il dialogo, e dopo la visita di Scholz a Mosca il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha parlato con il collega russo Sergei Lavrov per confermargli che la strada diplomatica è senz’altro aperta. Il grande nuovo dubbio ieri scaturiva però dalla decisione del parlamento russo di riconoscere come indipendenti le due repubbliche separatiste filo-russe nell’est dell’Ucraina, il Donetsk e il Luhansk. La proposta è stata presentata a Putin, che deve decidere. È un’altra spada sulla testa del governo di Kiev, che ha commentato che riconoscere ufficialmente l’indipendenza dei due territori ucraini significherebbe rinnegare l’accordo Minsk2, che dal 2015 regola la pace fra i due Paesi. 
 

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