Coronavirus: più guariti, il virus è mutato in Italia. Sono 45 i pazienti migliorati, ma crescono i contagi

Coronavirus: più guariti, il virus è mutato in Italia. Sono 45 i pazienti migliorati, ma crescono i contagi
di Claudia Guasco
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Venerdì 28 Febbraio 2020, 01:49 - Ultimo aggiornamento: 15:25

L’Italia «non è focolaio di niente, il virus sta circolando in tutto il mondo», assicura Walter Ricciardi, componente italiano del comitato esecutivo dellOms. E solo lo 0,1% dei comuni è coinvolto dall’epidemia», dice il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Eppure l’aggressività con la quale il Covid-19 si espande nel nostro Paese è impressionante: dal 24 febbraio a ieri il numero di casi accertati, e comunicati dal commissario straordinario per l’emergenza Angelo Borrelli, è cresciuto del 62,5%.

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Nelle ultime ventiquattr’ore, complice un blocco parziale della trasmissione dei dati, sono balzati a 650 da 400, erano 322 tre giorni fa e 229 nel monitoraggio di lunedì scorso. Una squadra di ricercatrici del laboratorio universitario dell’ospedale Sacco di Milano, diretto dal professor Massimo Galli, ha isolato il ceppo di tre pazienti italiani affetti dal virus e sta ricostruendo la mappa del contagio. Vero che l’opera di contenimento a Lombardia e Veneto funziona, ma qui l’infezione continua a espandersi.

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MAPPATURA
Ieri ha fatto altre tre vittime, tutte lombarde, «due pazienti di 88 anni e una di 82 con un quadro clinico già complesso», riferisce Borrelli. Diciassette le persone che, dall’inizio dell’epidemia, hanno perso la vita e 45 quelle guarite. In Lombardia sono 403 i contagiati (di cui 40 dimessi e 14 morti); 111 in Veneto (2 morti), 97 in Emilia Romagna (un morto), 19 in Liguria, 4 in Sicilia (2 guariti), 3 in Lazio, tutti guariti, Campania e Marche, 2 in Toscana e Piemonte, uno in Alto Adige, Abruzzo e Puglia. I ricoverati con sintomi sono 248, 56 sono in terapia intensiva e 284 in isolamento domiciliare. I tamponi effettuati sono stati 12.014, la metà in Veneto. Ricciardi invita le amministrazioni locali alla prudenza, a considerare pazienti positivi solo quelli confermati dall’Iss, «mentre quelli comunicati dalle regioni devono essere considerati come casi sospetti: hanno l’obbligo morale di seguire le indicazioni centrali, altrimenti si genera il panico collettivo».



Replica piccata del governatore veneto Luca Zaia: «Non c’è stata alcuna sovrastima». E infatti tutti i 282 casi inviati dai laboratori regionali all’Iss sono stati validati come positivi. La professoressa Maria Rita Gismondo, direttrice di Microbiologia al Sacco, è sulle tracce del Covid-19: «Il mio laboratorio l’ha isolato una settimana fa. Con un importante istituto di ricerca romano stiamo conducendo studi sulla filogenesi del virus. Significa che confrontiamo i tamponi per evidenziare la mutazione da un paziente all’altro e questo ci permette di inseguire il virus sul territorio. Abbiamo chiesto i campioni ai colleghi veneti per incrociarli con i nostri».

 


CREMONA AL COLLASSO
La speranza di un vaccino, tuttavia, non cambia la situazione sul campo. Gli ospedali sono in affanno, Cremona rischia il collasso. «Non sappiamo più dove mettere i pazienti», dicono fonti sanitarie. I positivi ricoverati mercoledì erano 81, di cui 42 con la polmonite. Diciotto sono in condizioni gravi e i numeri «salgono in continuazione», tant’è che ieri sera erano già 91, assegnando alla città l’infelice primato di seconda provincia lombarda per numero di persone colpite. «Bisogna tenere conto che quest’ospedale è un riferimento anche per l’area lodigiana. Il reparto di medicina è stato trasformato in infettivologia», informa l’assessore lombardo alla Sanità Giulio Gallera.

Il sindaco Gianluca Galimberti ha scritto alla regione per chiedere «di sostenere il nostro ospedale, è in condizioni di forte stress». Ma tutto il territorio soffre. Due dottoresse di medicina generale della zona rossa scrivono una lettera di denuncia: «I pazienti positivi al coronavirus con polmonite ma non gravi e quindi lasciati a casa, così come tutti gli altri malati, non possono essere visitati. E si sentono abbandonati». I quattro medici di base del lodigiano sono in quarantena o ricoverati e in sostituzione, per seimila abitanti, ne è stato mandato solo uno. Con una misera dotazione di due mascherine.
 
 

 

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