Se Roma perde le sue notti mondiali

di Davide Desario
2 Minuti di Lettura
Martedì 17 Giugno 2014, 00:19 - Ultimo aggiornamento: 17:18
Cinque ragazzini. Tra i nove e i tredici anni. Nonostante fosse tardissimo, subito dopo la fine di Italia-Inghilterra, sabato notte erano in strada a giocare a pallone. Erano a Casalpalocco alla luce di un lampione. C’era quello “secco”, l’immancabile “roscio” e quello in carne costretto a stare in porta.



Una scena d’altri tempi in una Roma che sembra aver perso quel gusto di vivere e gioire insieme. Quel senso di comunità che nel ’78, durante i mondiali d’Argentina, si respirava entrando nell’alimentari, dove mentre si parlava di Benetti, Bettega e Zaccarelli si prendevano tre rosette «ben cotte» e si lasciava “segnato” perché tanto il fornaio conosceva tutte le famiglie. Quel sentirsi condominio che durante Spagna ’82, complice l’impresa di Pablito e compagni, ha fatto scattare collette tra vicini di casa per coprire i palazzi con bandiere dal quinto fino al piano terra.



E poi le notti magiche di Italia’90 con l’Olimpico stracolmo e Roma tricolore come non mai. Senza dimenticare l’illusione americana con la finale persa con il Brasile e le lacrime dei bambini a piazza Venezia. Quei bambini che magari si sono rifatti nel 2006 al Circo Massimo accogliendo Cannavaro e Totti cantando “Po-PoroPo-Popopo”.



Sono passati solo otto anni da quella grande festa. Eppure Roma sembra un’altra città: fredda, con vicini di casa sconosciuti e palloni che rimbalzano solo sulla playstation. Per fortuna ci sono quei cinque ragazzini di Casalpalocco. Speriamo siano contagiosi.



davide.desario@ilmessaggero.it