Il narratore nostalgico Cesare Pavese
Vecchio mestiere

Cesare Pavese
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Venerdì 20 Dicembre 2013, 16:53 - Ultimo aggiornamento: 10 Febbraio, 17:12
“Sar a Roma a discorrere con il mio Messaggero”. Cos Cesare Pavese l’8 dicembre 1941. Lo scrittore pubblica sul giornale la prima versione di molti di quei testi descrittivi, brevi racconti, riflessioni raccolti poi in “Feria d’agosto”. Sono “Il nome”, “Fine d'agosto”, “La Langa”, “Il campo di granoturco”, “Il gruppo”, “Vecchio mestiere”, “Insonnia”, “Una certezza“, “Risveglio”. I temi sono quelli cari alla sua prosa, trasparente, morbida, guardinga: il mito innocente e selvaggio della campagna, la solitudine metropolitana, la memoria dell’infanzia.



A quei tempi ero occupatissimo e vivevo con dei carrettieri. La testa mi risuona ancora degli urli grossi di comando e del cigolio delle martinicche. Tenevamo il nostro raduno nel cortile e sotto l’androne di un certo stallaggio che, le sere di partenza, era una bolgia di lanterne e di voci irose come staffilate. Fantesche e garzoni che ci davano l’avvio, anelavano a vederci in strada, perché soltanto allora potevano fermarsi sulla soglia a respirare: lo schiocco delle nostre fruste era la loro liberazione.



Anche per noi la staffilata larga, sparata fuori dell’androne sul fianco dei cavalli, era il segnale che cominciavano la condotta e la notte. Di primo buio ci si accompagnava, se faceva stellato, a due a tre sulla banchina della strada avendo l’occhio al cavallo di testa e alle biforcazioni, perché la carovana va come un treno e tutto sta che sia incamminata bene. Poi cominciavano i più vecchi a restare indietro e montare sui vari carri; noi giovanotti si aveva sempre qualche discorso da finire e un’ultima sigaretta da chiedere. Ma si saltava sui sacchi anche noi alla fine e il dormiveglia cominciava.



Quante notti passai così accovacciato sui sacchi, dondolandomi negli occhi la lanterna che nel dormiveglia non distinguevo più se era appesa sotto il carro precedente...



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