Mortalità in crescita e giovani in fuga, la Tuscia si spopola

Mortalità in crescita e giovani in fuga, la Tuscia si spopola
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Lunedì 29 Agosto 2022, 21:35

Nei primi cinque mesi del 2022 mortalità in aumento nella Tuscia, lo certifica un rapporto dell'Istat. Una crescita di tre punti percentuali rispetto al 2021, di nove sul 2020. Tra gennaio e maggio di quest'anno, infatti, i decessi sono stati 1775, 1720 l'anno precedente e 1628 due anni fa.

Numeri negativi in gran parte dei 62 comuni; peggio va a quelli popolosi mentre meglio va, per forza di cose, nelle realtà dove la concentrazione demografica è minore. Da sottolineare il dato del capoluogo, Viterbo città ha registrato in tutti in cinque mesi un numero di decessi oltre la media del triennio: a gennaio 91 su una media di 88,4, febbraio 76 su 68,6, marzo 91 su 64, aprile 77 su 60,4, maggio 66 su 60,4.

L'aumento dei decessi, imputabile in larga parte all'età media della popolazione in continua crescita, pur restando fattore importante è marginale nel processo di progressiva destabilizzazione della provincia: la punta dell'iceberg di cui natalità in sofferenza (che riesce solo parzialmente a compensare i decessi) e fuga dei giovani tra i 18 ed i 25 anni, costretti ad emigrare per mancanza di opportunità lavorative, rappresenta invece il corpo.

A mettere in guardia dai rischi che l'unione di questi tre fattori genera in negativo è un'elaborazione condotta sui dati Istat che incrociando dati, parametri e andamenti sulla popolazione residente nell'ultimo decennio prevede per la Tuscia 12mila residenti in meno nel 2031; la provincia passerebbe quindi dai 308.830 attuali a 296.842.

Un calo ancora più vertiginoso se confrontato con il 2013, anno in cui il Viterbese aveva raggiunto il massimo con 322mila abitanti: un ipotetico meno 26mila residenti in neppure 20 anni, l'equivalente delle intere città di Civita Castellana e Ronciglione.

Una voragine per l'economia che potrebbe perdere il 6,6 per cento di lavoratori creando sofferenza per tutti i settori. Problema per la cui soluzione bisogna guardare alla manodopera specializzata, e non, che arriva da fuori i confini nazionali. Secondo l'ultimo rapporto Istat, al 1° gennaio i non italiani censiti nella provincia erano 30.195 contro i 29.769 dell'anno precedente, quasi il 10% del totale. Numeri che non bastano a colmare il gap demografico e neppure quello economico.

Un esempio di quanto sia importante rivedere i flussi viene dal dato su lavori agricoli: il calo della forza lavoro ha spinto alcune imprese a lasciare una parte degli ortaggi nei campi.

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