Le 600 panchine di Lillo Puccica, una vita nel calcio: «Prima della tecnica vanno allenati testa e cuore»

Le 600 panchine di Lillo Puccica, una vita nel calcio: «Prima della tecnica vanno allenati testa e cuore»
di Marco Gobattoni
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Lunedì 1 Ottobre 2018, 16:42 - Ultimo aggiornamento: 18:19
Arriva in redazione salendo le scale come un ciclista colombiano scatta sulle salite. «Ho superato una certa età, mi devo mantenere in forma»: Rosolino Puccica, per tutti Lillo, arriva al Messaggero per parlare dell'ultima sua fatica, che sarà presentata oggi alle ore 18 a Capranica. Questa volta però non si parla di una squadra che gioca un calcio frizzante e lancia tanti giovani calciatori. Stavolta si tratta di un libro.

Sì, Puccica ha scritto un libro. Il titolo è chiaro e diretto, “Le mie prime 600 panchine” (Caravella edizioni) con due messaggi che arrivano al lettore: un racconto dell'epopea calcistica puccichiana e un messaggio sottinteso che lascia aperte le porta ad altre avventure nel mondo del calcio. Un mondo che lo ha accolto prima come calciatore, poi come allenatore: la carriera di Puccica è stata bella, intensa e meno premiante di quello che avrebbe potuto essere. Tra occasioni perse, club falliti ed esoneri, Lillo non ha goduto delle tante qualità.

La genesi del Puccica pensiero nasce sull'Autosole, zona Firenze. «Stavo tornando con la Berretti della Viterbese dalla trasferta in casa dell'Atalanta nelle finali nazionali - racconta Puccica - e all'altezza di Firenze mi chiama Giulio Marini: la Viterbese mi offre la possibilità di allenare la prima squadra, prima dei playout contro la Nocerina. Non ci penso molto: a Firenze scendo e incontro Marini e il presidente Gerry Aprea: non parlo nemmeno di soldi, sento che è la mia occasione». Quell'occasione se la gioca bene: salvezza storica nell'inferno di Nocera. «Mi ricordo che dopo la partita ho esultato a Frosinone. Che tensione c'era, per una settimana ho avuto dolori in tutto il corpo», ricorda.

Da quel giorno inizia l'epopea di un tecnico che ha un proprio marchio di fabbrica: il 3-4-3, folgorato dall'Ajax di Louis van Gaal. «Oggi non lo fa più nessuno ma io, dovessi tornare in panchina, lo riproporrei senza dubbi. Mi ricordo un Crotone-Lanciano, quando al guidare i calabresi c'era il mio idolo Gianpiero Gasperini. Modulo speculare e 5-3 per il Crotone in una gara favolosa. Al ritorno penso di fregarlo e mi metto a quattro: dopo venti minuti 2-0 per lui. Se una cosa la senti tua devi allenarla fino in fondo, senza snaturarti». Ma nella propria carriera Lillo, si è dovuto snaturare diverse volte: tra presidenti complicati e occasioni perse.

«Nel libro, nato quasi per scherzo dalle pressioni dei miei due amici Giuseppe Baldi e Giuseppe Petrucci, scrivo che la mia vita somiglia molto alle montagne russe: mai fino in cima, mai fino in terra. Sono contento di quello che ho fatto, ma non sono stato fortunato: spesso mi hanno tolto ingiustamente quello che avevo ottenuto sul campo». La Viterbese è una pagina storica nella carriera del mister di Capranica: non solo Nocera, ma anche il rispetto dei calciatori. «A Santoruvo dissi: anche se mi prendono Vieri tu sarai il mio numero 9. Con i giocatori ho avuto sempre un grande rapporto. Movilli è quello che sento più mio: quella squadra gettò le basi per sfiorare la serie B l'anno dopo, con Guido Carboni. E l'avventura dello scorso anno? Mi ha fatto rinascere. E sono l'unico che Camilli non ha mai esonerato».

Una fetta importante di Puccica è stata coi giovani. Oggi è direttore tecnico della scuola calcio Leoni 1908, ma sa che il pallone dei piccoli è una giungla. «Molti tecnici di settore giovanile non sanno come si cresce e si guida un ragazzo. Dobbiamo allenare la testa e il cuore - dice Lillo - non solo la tecnica. Mi confronto con genitori che pensano di avere in casa piccoli Messi. Io sono stato dieci giorni in Spagna a seguire il Barcellona di Guardiola: sono anni luce avanti a noi». Non mancano sentimenti e affetti: «La mia famiglia è la mia forza. Il libro lo dedico a loro: senza i miei cari non avrei potuto fare il percorso che ho fatto».
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