La regista Alice Rohrwacher racconta la "sua" Tuscia: «Bella e fragile, per me non è solo un set»

In provincia di Viterbo ha girato la sua trilogia: “Le Meraviglie” (2014), “Lazzaro Felice” (2028) e “La Chimera” (2023)

La regista Alice Rohrwacher racconta la "sua" Tuscia: «Bella e fragile, per me non è solo un set»
di Isabella Bellitto
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Venerdì 12 Gennaio 2024, 05:20 - Ultimo aggiornamento: 17 Gennaio, 16:41

Ciò che ci circonda va guardato con occhi pieni di ammirazione, salvaguardato, mai sfruttato e presentato al mondo per la sua autentica bellezza. Può essere riassunto così il percorso in ascesa della regista Alice Rohrwacher, fautrice di una terra che la accoglie da anni: la Tuscia. Un cinema di poesia, come è stato definito da qualcuno, ma anche un viaggio interiore. E molto parte proprio da qui: un percorso cominciato con “Le Meraviglie” (2014), “Lazzaro Felice” (2028) e “La Chimera” (2023). Una trilogia girata tra Capodimonte, Bagnoregio, Castel Giorgio, San Lorenzo Nuovo e Tarquinia. La Tuscia, quindi, è molto ricorrente.

Qual è il legame con questa terra?
«È una zona a cui sono molto legata perché è un territorio di frontiera, dove si incontrano diverse regioni e come in tutti i margini le cose sono sempre sorprendenti. Un confine è fatto di incontri e scontri. Questa zona tra le province di Viterbo, Terni, Siena e Grosseto è un luogo vitale, ma allo stesso tempo è fragile ed è un luogo da proteggere Un territorio che è ben più di un set di un film».

Lei è anche molto attiva su temi ambientalisti…
«È una zona che viene ritenuta vuota, sulla quale calano dall’alto dei progetti che non seguono la vocazione di quel territorio, ma solo speculazioni che vengono imposte: impianti geotermici spropositati, depositi di scorie nucleari, agricoltura intensiva, speculazioni energetiche incompatibili con i reali bisogni della popolazione. La ricchezza di pochi e la miseria di molti. Invece bisognerebbe illuminare questo territorio con progetti che mettano al centro chi lo abita, nel senso di uomini, animali, natura. C’è bisogno di immaginazione e rispetto: per me è fondamentale far capire alle persone che questo territorio è pieno di risorse che vanno protette e la sua principale risorsa è la biodiversità. Il paesaggio in cui viviamo è un bene comune, le decisioni che riguardano il futuro del paesaggio devono essere condivise. Non è possibile che delle imprese private per lucrare e approfittare della confusione dei nostri tempi decidano il futuro di una popolazione. Il nostro paesaggio è la nostra ricchezza, è stato scritto nei secoli da una collettività, è quello che ci ha reso famosi in tutto il mondo di persone. Dobbiamo proteggerlo».

E la battaglia dei noccioleti?
«Ho prestato il mio sostegno ai comitati e appoggio ogni lotta contro l’agricoltura intensiva in questa zona e nel mondo.

Ad esempio il progetto “omelia contadina” è stato girato sull’altopiano dell’alfina ma ha viaggiato nel mondo e molti movimenti di piccoli agricoltori che subiscono le stesse pressioni dall’agroindustria lo hanno sostenuto. Quello che posso fare con il mio lavoro è risvegliare l’attenzione, il pensiero. Non viviamo dentro a una caverna digitale, e neanche ci rendiamo conto di ciò che accade intorno a noi. Bisogna far sì che tutti si guardino intorno e si rendano conto che qualcuno mette le mani in un territorio e lo distrugge. Abbiamo fatto un convegno a Orvieto “I noccioli del problema” e avevamo una parola chiave: Mangiare o essere mangiati? Le coltivazioni intensive devastano un territorio sia nell’uso spropositato di pesticidi, sia nell’impoverimento della biodiversità».

La Tuscia è anche territorio di magia e stregoneria. Ha mai pensato di raccontare anche questo aspetto?
«La magia, secondo me, si trova nel voler proteggere questo territorio. Nel sostenere quella parte selvaggia. Credo che si avverta che in queste zona ci sia qualcosa di magico, ma per me magica è l’attenzione che ognuno di noi deve avere nell’ambiente che li circonda».

Attenzioni da tramandare anche alle future generazioni, e so che lei ha una figlia di 17 anni. Le ha insegnato la bellezza di questi posti?
«Questo bisognerebbe chiederlo a lei (sorride). Spero di averle insegnato che il futuro dipende da ciò che siamo capaci di immaginare e sognare nel presente. Dobbiamo immaginare un futuro meno prevedibile, perché le generazioni future vivranno nel sogno che oggi siamo in grado di fare».

Come immagina questa terra di confine tra dieci anni?
«È una domanda difficile. Quando mi guardo intorno vedo solo immaginazioni negative su questo territorio, progetti che vogliono estrarre il massimo dei soldi da una terra ancora prospera e vitale. A volte mi chiedo: ma è possibile che nessuno riesca a immaginare cose belle? Non ci insegna il nostro paesaggio che la vera bellezza è la ricchezza condivisa, il rispetto e l'accoglienza? Perché gli unici progetti che piombano in questa zona riguardano lo sfruttamento privato delle nostre risorse? Dall'altra spero ci sia quella famosa magia che possa risvegliare le coscienze e aiuti a non sfruttare tutto ma a tenere una parte incolta dell'orto, come diceva San Francesco. Non possiamo sapere se ciò che adesso consideriamo solo un'erbaccia possa essere la nostra medicina di domani».

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