Vaticano, dagli archivi affiorano i silenzi pubblici di Pio XII: poteva aiutare gli ebrei solo con la rete umanitaria

Vaticano, dagli archivi affiorano i silenzi pubblici di Pio XII: poteva aiutare gli ebrei solo con la rete umanitaria
di Franca Giansoldati
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Domenica 7 Febbraio 2021, 10:48 - Ultimo aggiornamento: 12:12

Città del Vaticano - Verso la fine del 1942 arrivò in Vaticano una nota urgente da parte dell’ambasciata britannica. La guerra infuriava, le notizie delle deportazioni degli ebrei in tutta Europa circolavano lugubri. Il Papa già conosceva quello che stava accadendo grazie a quello che gli arrivava dagli episcopati. L’ora più buia dell’Europa era scoccata. Il messaggio britannico includeva una copia della dichiarazione congiunta contro la persecuzione nazista rilasciata dai governi di Londra, Washington e Mosca.

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A Pacelli veniva richiesto un intervento pubblico a favore degli ebrei sostenendo la medesima dichiarazione internazionale di condanna.

In alternativa il governo inglese «sollecitava energicamente» il pontefice, a «usare la propria influenza, tramite una dichiarazione pubblica o una azione mediante i vescovi tedeschi per incoraggiare i cristiani tedeschi e, in particolare i protestanti tedeschi a fare tutto quanto in loro potere per contenere questi eccessi». 


Pio XII nei fatti fu costretto a prendere tempo, tanto che l’ambasciatore britannico Osborne, alcune settimane dopo, rispondendo al suo governo, non menzionò affatto la richiesta iniziale, limitandosi a segnalare che aveva  proposto al pontefice di usare la propria influenza in Italia, Francia e Ungheria dove la persecuzione «non si era ancora manifestata in modo marcato, per impedire l’eventuale deteriorarsi della situazione locale e rafforzare la resistenza locale contro (…) l’inasprimento delle misure antisemite». Era chiaro che di più non poteva ottenere.


Il drammatico passaggio sui silenzi pubblici di Pio XII è affiorato grazie al lavoro d’archivio di Johan Ickx nel libro Pio XII e gli Ebrei (Rizzoli, 408 pagine, 22 euro). Icks cheoggi dirige l’Archivio Storico della Sezione per i rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato ha potuto avviare una esaustiva opera di revisione grazie alla de-secretazione degli atti di quel periodo. 


La conferenza di Hitler a Wansee (gennaio 1942) nel frattempo aveva già avviato la micidiale macchina di sterminio più potente di tutti i tempi, nota come "Soluzione finale della questione ebraica" . Il 77% della popolazione ebraica della Slovacchia era già stato evacuato verso un destino di morte certa. A Parigi erano stati arrestati 12 mila ebrei e radunati nel velodromo. In Polonia erano stati sterminati un milione di ebrei. Nel dicembre del 1942 arrivò in Vaticano anche il telegramma del rabbino capo Horovitz della Agudas Israel World Association. «Veniamo a implorare Sua santità affinché usi la sua grande influenza e autorità religiosa e faccia sentire la sua voce (...) per fermare la loro mano» scriveva il rappresentate religioso ebraico. 

In un altro messaggio alla Santa Sede, stavolta da parte del nunzio a Bucarest, si capisce bene che il Vaticano aveva ormai margini di manovra ridotti: «So benissimo che non è certo la buona volontà che manca alla Santa Sede di venire in aiuto a quei disgraziati e che senza dubbio avrà di già fatto in merito quanto le era possibile».


Perché tanta prudenza nel prendere posizione? Dai verbali di una riunione top secret tra i principali cardinali di curia sembra arrivare una risposta. Il 23 gennaio1943 il cardinale Tardini discusse la questione con Pio XII che concordò di inviare una durissima nota diplomatica a Berlino, da indirizzare al ministro degli Esteri Ribbentrop. La nota contenente la condanna e l’elenco di tutte le atrocità. Il cardinale Rossi - sempre dai verbali - annotava angosciato: «E’ evidente che la situazione è gravissima. Sembra di trovarsi di fronte all’anticristo». Il nunzio a Berlino, Orsenigo che avrebbe dovuto consegnare la nota al ministro Ribbentrop non riuscì però a farlo, fu bloccato e la nota tornò indietro. Un flop diplomatico. Pio XII allora mandò una seconda nota ma anche questo secondo tentativo girò a vuoto. 

Era chiaro, scrive Icks che «per il Papa la tutela del principio diplomatico era l’ultima cosa alla quale potersi aggrappare». Evidentemente Pacelli, da diplomatico di lungo corso, ormai sapeva che non aveva alcuno spazio di manovra pubblico. Non gli restava che agire in modo silente, sotterraneo, aiutando gli ebrei tramite la rete dei conventi, della parrocchie, delle strutture come del resto dimostrano i faldoni denominati “Ebrei” ritrovati negli archivi. Migliaia e migliaia di richieste evase dalla Chiesa. E' stato annotato tutto. Nomi, cognomi, indirizzi, referenti, aiuti. A volte però, purtroppo, questi sos vergati in condizioni estreme, a causa delle comunicazioni lentissime che c'erano all'epoca, arrivavano troppo tardi allungando la lunga scia di morte. Erano tutti agnelli al macello. 

L'esistenza di questa serie archivistica resta la prova che il silenzio pubblico scelto da Pio XII per non peggiorare la situazione, non ha mai inficiato il suo agire, per quello che ovviamente era in suo potere. Questa mole di richieste riguarda coppie di sposi, famiglie intere, gruppi, comunità, bambini rimasti soli, ma anche singoli individui di fede ebraica che in circostanze tragiche ricorrevano al Vaticano.

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