Plini, direttore della scuola "Paolo Grassi": «Chiese aperte, teatri e musei chiusi e nessuno protesta»

Marco Plini, regista e direttore della scuola di teatro Paolo Grassi
di Vanna Ugolini
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Sabato 9 Maggio 2020, 08:52

TERNI La voce è piana ma le parole sono disincantate e dolorose. Marco Plini, regista teatrale e direttore della scuola di teatro Paolo Grassi di Milano, dove sono nati tanti talenti non vede prospettive per il futuro prossimo del teatro. «Non ci sono visioni, non ci sono progetti. La fase tre non prevede niente per la cultura. E il rischio è che in autunno, quando le famiglie avranno finito i risparmi, ci ritroveremo enormemente impoveriti». Ma c'è qualcosa in più che preoccupa Plini. «Non si sta pensando a niente che non sia minimamente somigliante a una sopravvivenza. La situazione era già pessima prima, non si cerca di cambiare».
Difficile prevedere anche che il cinema possa fare produzioni di una certo livello. «Il cinema e le serie tv sono meno complicate da fare perchè comunque puoi contingentare le persone, puoi fare i tamponi e i controlli. Il cinema non avviene, è già avvenuto, qualcosa in più si potrà fare». Per il teatro, invece, Plini, vede nero. E non solo per gli attori, ma anche per tutte le maestranze che permettono l'allestimento e lo svolgimento degli spettacoli. Eppure c'è chi pensa di ripartire con il teatro la prossima estate. Con spettacoli all'aperto, al limite monologhi e con meno gente ad ascoltare, ma comunque, andare in scena. «E' una soluzione tampone, non una prospettiva».
«La cosa più orribile è che non puoi rilanciare, non puoi programmare. C'è anche il rischio che le riaperture che si stanno facendo provochino una recrudescenza del virus in autunno e, quindi, che non si possa fare nulla». E dire che questa situazione è materia straordinaria per chi scrive, sceneggia, recita. «Abbiamo vissuto un evento epocale, mezzo mondo chiuso in casa per due mesi e, oggi, questo evento sembra non aver lasciato tracce. Si vuole tornare a quello che si faceva prima. Si parla di jogging, parrucchieri, estetiste...Tornano le stesse dinamiche. Mi sembra che tutto si muova per far tornare la situazione uguale a prima o perchè nessuno è capace di immaginare qualcosa di diverso».
Adesso l'emergenza ha un po' allentato «e già non si parla più di cambiare la sanità pubblica, rafforzarla. Niente, questo tema è di nuovo scomparso dal tavolo della discussione, come tanti altri: la scuola, ad esempio, e l'esclusione di tanti ragazzi dalla didattica a distanza perchè non avevano la connessione o il pc. Ma, forse, questa è la rappresentazione di quello che realmente è il paese».
Il punto cardine del pensiero di Plini gira intorno al concetto che questo cambiamento epocale non ha cambiato la visione del futuro, nè un ripensamento dei modelli economici nè di convivenza civile. Ha pensato di farci uno spettacolo teatrale? «No, è troppo presto. Ho letto, invece, in questi giorni quello che ha fatto Macron, una sorta di Welfare per la cultura. In Germania gli attori sono sostenuti dallo Stato. Qui in Italia ho sentito un intervento della Guerritore e quello di Gabriele Vacis, che ha proposto che i teatri siano sempre aperti, vengano tolte le sedie e gli spettatori fluiscano per tutto il giorno. E' una cosa impossibile da concretizzare ma sicuramente è una visione. Per il resto non sento nulla che riguardi il teatro, la cultura: si riaprono le chiese ma se sono chiusi teatri e musei pazienza». Plini è stato diverso tempo in Cina per allestire la Turandot con l'Opera di Pechino. «Non ho più avuto contatti con gli attori ma da quelli che so la Cina è già ripartita. Loro hanno un rapporto con la vita e con la morte molto diverso dal nostro. Il paese va avanti e ho la sensazione che non voglia nemmeno stare a riflettere su quello che è accaduto». Qui, invece, si fatica a ripartire. E, forse, senza poter sentire a lungo la voce del teatro. Forse.

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