Stavolta i giudici hanno dato ragione alla Soprintendenza, definendo sostanzialmente legittimo il «no» all’autorizzazione paesaggistica per quell’edificio nonostante qualche anno prima lo stesso ente avesse concesso il via libera. Il secondo grado della giustizia amministrativa ha respinto il ricorso presentato dall’Adisu (l’Agenzia regionale per il diritto allo studio) che aveva gestito l’appalto.
«La valutazione da compiere da parte dell’organo preposto alla gestione del vincolo (cioè la Soprintendenza per beni architettonici e paesaggistici) in sede di riproposizione dell’istanza di autorizzazione paesaggistica implica una valutazione ex novo dopo che una prima autorizzazione sia divenuta inefficace», così scrivono i giudici del Consiglio di Stato nella sentenza 1059 depositata nella serata di ieri.
Respinta nettamente anche l’ipotesi sostenuta dagli avvocati dell’Adisu che rimarcavano una «carenza di motivazioni» nel no da parte dei funzionari del ministero per i Beni culturali. La sentenza di ieri chiude sostanzialmente la partita sul lato della giustizia amministrativa: lo studentato di fronte alla chiesta di San Bevignate non si può costruire. Non si può perché la Soprintendenza non concede e non concederà più l’autorizzazione paesaggistica. E non si può perché il diniego della Soprintendenza è considerato sacrosanto da parte del Consiglio di Stato.
E adesso, a bocce ferme, si gioca il secondo tempo del match. Messe così le cose, come si giustifica un appalto assegnato e un cantiere da 14 milioni sostanzialmente avviato ma poi bloccato con un semplice “scusate tanto, c’eravamo sbagliati? Ci sono i soldi spesi per la progettazione e un gruppo di imprese costrette sul più bello a fare marcia indietro. Qui toccherà a giudici del tribunale civile stabilire chi dovrà occuparsi dei risarcimenti.
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