La Nazionale pararowing a Piediluco, allenamenti con gli occhi puntati alle Olimpiadi

Le storie degli atleti, lo sport come inclusione e rivincita

La Nazionale pararowing a Piediluco, allenamenti con gli occhi puntati alle Olimpiadi
di Vanna Ugolini
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Giovedì 25 Maggio 2023, 09:10 - Ultimo aggiornamento: 09:11

TERNI Sono saliti sulla barca perchè la notte non facesse più paura, hanno cominciato a remare perchè volevano trovare la direzione giusta dopo che la vita li aveva fatti andare fuori strada, sono arrivati al traguardo trasformati e vincenti. Sono gli atleti e le atlete della nazionale italiana di pararowing, si sono allenati in questi giorni al centro federale a Piediluco, in vista delle gare estive, con gli occhi (e i muscoli) puntati alle Olimpiadi.

 

Tra loro anche il campione europeo e vice campione del mondo Giacomo Perini, 27 anni, romano. Riservato, timido, ma meglio non averlo come avversario in gara.

E' arrivato in vetta all'Europa e ha sfiorato il titolo di campione del mondo, lui che fino a poco tempo prima era in un letto d'ospedale impegnato a vincere la gara più importante, quella per la vita, contro un tumore. L'ha superata, per due volte, anche quando ha dovuto amputare una gamba per poter sopravvivere. La sua rivincita non si chiama solo sport, ma anche un libro ("La notte ha smesso di fare paura" . Santelli Editore), uno spettacolo teatrale, il volontariato e, forse, soprattutto, la grazia, l'umiltà, la resilienza con cui ha accettato le curve strette della vita, riuscendo a non uscire di strada e a vivere con completezza. Marco Frank ha 42 anni, un passato da promessa del canottaggio, un presente e un futuro da certezza del pararowing. «Da ragazzo ero in nazionale con i "normo"», poi un anno fa un incidente. «Era un momento buio, un amico canottiere mi ha dato una spinta». E' tornato in gara e ha ricominciato a vincere. Specifica: «Sono insegnante, so cosa significa lo sport, non metto mai voti bassi a chi lo fa con impegno, come, invece, succedeva a me». Un tasto dolente, questo, per tutti coloro che fanno sport a livello agonistico ma non vorrebbero perdere la possibilità di studiare.

Fa Medicina, con fatica ma con impegno e determinazione, Greta Elizabeth Muti, 28 anni, consapevole di non essere solo una campionessa di canottaggio, ma anche una persona da cui altri possono trarre ispirazione: «E' importante parlare anche delle disabilità invisibili e avvicinare le persone allo sport». E' una «carica di autostima che fa bene». Elisa Corda, 37 anni, ferita in un incidente stradale sette anni fa, racconta il percorso fatto «per dare un senso a quello che mi era successo. Volevo riprendere la mia dimensione fisica». E non solo. Nel mezzo c'è stato l'arrivo di una bimba, lutti, vuoti, cambiamenti un passaggio al sollevamento pesi e poi l'approdo al canottaggio. «Finalmente un ambiente pulito e solidale». Il canottaggio è stato un approdo anche per Carolina Foresti, 22 anni, due incidenti di moto, «il secondo perchè cercavo di rincorrere la vecchia me», tanti interventi chirurgici e poi la ricerca costante della propria identità. In barca ne ha trovata almeno una parte.
Il più grande del gruppo è Tommaso Schettino, 50 anni, una lieve disabilità dopo un incidente stradale e una serie di dolori («ma era lo stress»), con cui ha dovuto convivere fino a quando ha deciso di prendere un remo in mano. I più giovani sono Raissa Scionico, 19 anni Flavio Grassello, 16 (di Piediluco, l'unico che gioca in casa), entrambi timonieri e Luca Conti, 19 anni. Raissa è salita in barca per stare vicino al padre che si allenava. La sua è diventata prima una passione poi qualcosa di più: «Quando faccio la timoniera per atleti ipovedenti devo essere i loro occhi, la loro vista e non è facile, è una grande responsabilità». Luca ha cominciato quasi per caso e poi si è detto di voler provare «fino a dove potrò arrivare». Zona medaglia. Flavio, in casa al Clt, ha sempre pensato che gli sarebbe piaciuto salire su quelle barche che vedeva passare sul lago, sotto casa sua e ci è riuscito.
Giovanni Santaniello, l'allenatore, (con il contributo di Alessio Marzocchi e Sara Prandini) è riservato: «Noi contiamo pochissimo, sono loro che fanno la differenza», si schermisce. Sa bene che non è così: non ci sono solo muscoli da allenare ma anche ferite da lenire, da prendere, per un po', in custodia. E, forse, proprio per questo, gli sembra che le medaglie dei suoi atleti siano più luccicanti.

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