Balotelli rifiuta i soldi del Flamengo e sceglie la sua Brescia e l’Italia

Balotelli rifiuta i soldi del Flamengo e sceglie la sua Brescia e l’Italia
di Matteo Sorio
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Giovedì 15 Agosto 2019, 08:10 - Ultimo aggiornamento: 16 Agosto, 10:51
Provaci ancora, Sam. Baloteide: atto ventesimo, o giù di lì. Alla ricerca infinita di se stesso, forse dell’idea che avevamo (un tempo lontano) di lui. Presunto fuoriclasse, assodato talento mai del tutto incanalato, a 29 anni l’autogoverno di Mario Balotelli tenta una nuova curva piegandosi sul rimpasto interno: casa sua, l’operosa e cattolica Brescia, la prima vera maglia italiana di provincia, a un’ora di macchina dalla vecchia Milano, dalle cartoline nerazzurre (tre scudetti, una Champions), rossonere (30 gol fra gennaio 2013 e maggio 2014) e da un Balotelli che fu. 
PROFETA IN PATRIA? 
Dice il curriculum: 122 partite, 47 gol. La serie A, e un quaderno che oggi s’aggiorna, a tre anni dall’ultimo arrivederci. Laddove c’era l’ipotesi di allungare l’esilio all’estero (Flamengo, Brasile) dopo Nizza e Marsiglia in Francia, ci sono adesso le Rondinelle, un contratto triennale (3 anche i milioni tra fisso e bonus) e un allenatore «local», Eugenio Corini, cresciuto a Bagnolo Mella cioè il paesino dei primi palleggi sotto l’occhio dei genitori biologici ghanesi, Thomas e Rose Barwuah, prima che l’affido alla famiglia Balotelli (il padre adottivo Franco è morto nel 2015) lo portasse verso la città e il quartiere – dove abita – di Mompiano. 
NON PIÙ IN FUGA
È tornato Balotelli, i piedi non più in fuga dall’Italia, l’idea (siamo sempre lì) che l’ultima grande tappa di Roby Baggio possa essere anche la vita nuova di Super Mario. A partire da quel 25 settembre (Brescia-Juve) che farà da battesimo, sebbene posticipato al quinto turno, colpa di quattro match di squalifica in eredità dal periodo marsigliese. Se puliamo il rullino dalle balotellate (quando indossò quella maglietta, «Why always me?», veniva da dirgli «vedi un po’ tu…»), l’ultimo radioso fotogramma nostrano di Balotelli è la doppia sberla alla Germania nella semifinale di Euro2012. Sette anni fa. Era il periodo di Manchester, la Premier appena vinta, forse l’apice. Tanto creativo quanto autodistruttivo, Balo: non è un caso che solo un artista, Noel Gallagher, tifoso illustre del City e titolare di tutte le hit dei disciolti Oasis, sia parso capirlo, davvero, in un’intervista che all’epoca spopolò. 
Tra allora e adesso, la storia di Balotelli in Nazionale s’era ridotta alla faccia sperduta, lo spogliatoio e un Paese a ringhiargli intorno, di Brasile 2014. Fino a Mancini, l’eterno terzo padre, la porta riaperta nel maggio 2018. 
SECONDA CHANCE 
Una vita in prima pagina, i cortocircuiti fra campo e gossip, gol, risse e freccette, maglie baciate e buttate per terra, bronci più che sorrisi. Paradossalmente, nel calcio di Balotelli la perfezione sono i calci di rigore cioè il momento in cui si è più soli: portiere di qua, palla di là, ogni cosa al suo posto, un chirurgo, l’attimo in cui davvero l’ordine sotterra il caos. «Un giorno giocherò per il Brescia». Così parlò Balotelli non molto tempo fa. Vicino agli amici di sempre e lontano dai paparazzi, il bad boy, chissà, può andare sul dischetto più giusto. E se azzecca il penalty di Brescia, anche gli undici metri tra lui e l’azzurro possono accorciarsi. In tutto questo il Brescia si infuria per la fuga di notizie e proclama il silenzio stampa. «L’informativa impropria di queste ore - si legge in una nota della società lombarda - danneggia le azioni di mercato che il club potrebbe concludere e riduce le probabilità di successo di ogni iniziativa». Staremo a vedere. 
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